La posta del direttore

In ricordo di Nicasio Scuderi Ho avuto modo di conoscere Nicasio Scuderi in occasione della presentazione del suo libro Cercare Dio nella natura: riflessioni sugli equilibri che permettono la vita. Durante l’estate l’ho letto con attenzione e devo dire che fin dalle prime pagine sono saltato sulla sedia perché Nicasio cita spesso una parola per me magica: humus. Mi occupo infatti di agricoltura biodinamica, e il lavoro che faccio quotidianamente nelle aziende agricole è proprio quello di ricreare l’humus nel terreno. Ebbene, da ormai oltre 60 anni, questo meraviglioso essere vivente è stato praticamente cancellato da tutti i testi di agraria. Oggi, a differenza di Nicasio, sono rarissimi gli agronomi che si rendono conto dell’importanza del ruolo e delle funzioni dell’humus. Purtroppo, poche persone sono consapevoli della grave dimensione del problema che Nicasio invece aveva centrato con chiarezza. Del resto viviamo in una società in cui si danno importanza a tanti pseudo-valori ma non al tipo di alimentazione. Tutto ciò è ampiamente illustrato nel libro di Nicasio, ed io stavo aspettando di poterlo incontrare e confrontarmi con lui. Il Signore però lo ha chiamato a sé prima che ciò fosse possibile. Mi auguro che le sue idee e i suoi lavori non vadano perduti. Marcello Lo Sterzo – Roma Siamo grati di questo ricordo di un nostro carissimo amico e collaboratore. Più volte abbiamo pubblicato suoi articoli di carattere scientifico divulgativo in cui lamentava il fatto che l’alimentazione fosse sempre più condizionata da perniciose alchimie chimiche, frutto dell’avidità. Né possiamo dimenticare il grande amore che Nicasio Scuderi ha avuto sempre per Città nuova di cui si è fatto, sin dal suo nascere, un appassionato divulgatore. Sul piano personale fu un amico fraterno che ricordiamo con affetto e riconoscenza. La fede davanti alle grandi tragedie Le catastrofi che causano in ogni parte del mondo migliaia di vittime ci possono far sorgere la domanda: perché Dio che è amore permette tutto ciò? Questa domanda, apparentemente logica, mi riporta indietro nel tempo all’epoca di Vermicino, quando tutta l’Italia seguiva col fiato sospeso i tentativi dei soccorritori per salvare Alfredino Rampi, caduto in un profondo cunicolo. Ero anch’io davanti al televisore con un nipotino di otto anni. Poiché le ore passavano senza alcun risultato, il bambino, visibilmente emozionato, mi chiese: Perché Gesù non interviene a salvarlo?. La domanda era imbarazzante e i bambini non si accontentano di risposte semplicistiche. Mi venne però, provvidenziale una risposta: Gesù lo sta aspettando, perché dovrebbe ritardare l’incontro?. Subito dopo il nipotino accolse come una liberazione la notizia della morte del piccolo Alfredino, cercando di immaginarsi quello che Gesù e il bambino potessero dirsi. Come non pensare, allora, che anche le vittime dello tsunami e di altre calamità siano accolte dalla misericordia e dall’infinito amore di Dio?. Toni De Chiara – Pescara È vero che davanti all’ineluttabilità di certe grandi tragedie troviamo risposte nella fede. Chi ne ha fatto esperienza ne ha tratto grande conforto. Ma ciò evidentemente non ci deresponsabilizza facendoci abbandonare al fatalismo. L’ineluttabile certamente esiste per la sproporzione fra le forze che può scatenare la natura e le nostre comunque deboli reazioni di contrasto. Ma è nella prevenzione che si può fare tanto di più, a partire dal pozzo mal protetto in cui è finito il bambino di Vermicino, fino all’uso delle tecnologie più sofisticate di cui disponiamo per allertare le popolazioni in pericolo, ad esempio, di un’onda dello tsunami. Altrettanto dicasi per quanto riguarda i soccorsi: un settore nel quale la solidarietà ha fatto grandi passi, ma al quale i governi destinano ancora troppo poche risorse. Una scuola e una clinica in Uganda …e così, dopo soli sei mesi da quando ero stata in Uganda ed avevo per caso visitato la Scuola Arcobaleno, vi sono tornata, per svolgere lavoro di volontariato e vi sono rimasta tre mesi. Sono stati mesi di felicità, di commozione fra i 248 ragazzi che si reputano fortunati per essere stati tolti dalla strada, grazie alla generosità delle persone che li hanno adottati a distanza ed alle focolarine che se ne prendono cura con grande amore. Questi ragazzi indossano una linda divisa, non tutti hanno scarpe o quaderni, eppure li ho sentiti ogni giorno pregare per i loro benefattori e cantare, ballare, suonare i loro strumenti, giocare, studiare con impegno e, all’ora di pranzo, correre verso la loro modesta mensa con una dignità ed una compostezza indescrivibili, gioiosi, appagati, riconoscenti perché pri-vilegiati. Fra loro c’è chi non avrà vita lunga perché malato irreparabilmente. Io avevo già scritto a Città nuova la prima volta che mi era capitato di andare in Uganda esprimendo ammirazione e sorpresa sia per la Scuola Arcobaleno che per la clinica Zia Angelina, retta anch’essa dai focolarini a Namugongo. Adesso aggiungo un appello: non è facile istituire scuole in Uganda né tanto meno mantenerle, e non si pensi che solo le adozioni a distanza possano sostenerle, bastano pure piccole donazioni costanti nel tempo. Io in Uganda ci tornerò di nuovo entro l’anno. Ormai è la mia seconda famiglia. Sembra assurdo, ma vado per ricevere il centuplo di quanto posso dare. Raffaelina Barbaro Santoro Palmi Siamo ben lieti di ricevere e pubblicare un così convincente attestato di validità relativo a due iniziative di cui a suo tempo abbiamo parlato. Complimenti a chi porta avanti così valide esperienze di fraternità e a chi le sostiene con tanto entusiasmo come la nostra lettrice. Un grazie dal cuore Sono un vecchio amico di Città nuova, nel cui magazzino ho lavorato negli anni Sessanta. Da allora ho girato un po’ il mondo sempre accompagnato dalla rivista. Anche stamane ho letto Città nuova per un paio d’ore. Devo farvi i complimenti. Ho smesso di leggere per scrivervi queste righe che mi vengono dal cuore: grazie, grazie!. Cesare Bazzan – Libano Cittànuova al Volontarifest di Budapest Il 50° anniversario di Città nuova ha avuto un’eco anche al Volontarifest di Budapest, che celebrava i cinquant’anni dalla nascita dei volontari. A loro, proprio su uno dei primi fogli della neonata rivista, Chiara Lubich rivolse l’invito a rispondere all’appello di Pio XII nei giorni drammatici della rivolta ungherese. (Si veda il reportage su questo numero di Città nuova a pag. 18). Nell’atmosfera intensa di quei giorni è stato naturale proporre che quello scambio di idee, quella comunione di vita, quello stare insieme a progettare un mondo diverso e migliore appena sperimentato, potessero continuare sulle pagine di Città nuova, a conferma che la fraternità universale è possibile. Città nuova dunque, riproposta come foglio di collegamento, quale appunto era stata fin dal suo nascere a Fiera di Primiero nel ’56 e quale ha continuato ad essere in questi cinquant’anni durante i quali si è diffusa in tutto il mondo dando vita a ben 37 edizioni nelle principali lingue del pianeta. Città nuova costituì allora anche l’innesco per la nascita dell’omonima casa editrice, sorta di rincalzo per approfondire la vita e la cultura che nascono dal carisma dell’unità. Pure le case editrici sono presenti in tutto il mondo, come lo sono oggi i siti Internet, a completare questo ambiente multimediale che è Città nuova, dove è possibile ritrovarci come in una vera casa, una casa nostra. E qui raccogliere – come suggeriva allora Chiara Lubich – quante aspirazioni all’unità oggi germogliano sulla Terra, perché il bene di un fratello diventi il bene comune e, quello comune, bene di ciascuno.

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