La Polonia sotto esame Ue
L’Unione europea non è soltanto una “comunità di diritto”, nel senso che ha – caso unico al mondo – un ordine giuridico proprio, distinto da quelli degli stati membri, su cui vigila come giudice supremo la Corte di giustizia di Lussemburgo.
L’Unione europea è anche una “comunità di valori” condivisi. Tali valori, inseriti per la prima volta nei testi fondatori dell’Ue dal trattato di Amsterdam del 1997 ed ora enumerati dall’articolo 2 del trattato sull’Unione europea (Tue), sono il rispetto della dignità̀ umana, la libertà, la democrazia, l’uguaglianza, lo Stato di diritto (che esige tra l’altro una chiara e effettiva separazione dei poteri) e il rispetto dei diritti umani.
Far rispettare i valori comuni è molto più difficile, e delicato, che punire la violazione delle norme giuridiche; per questo l’articolo 7 Tue ha disposto una procedura di natura politica, che prevede un meccanismo preventivo in caso di “evidente rischio di violazione grave” di tali valori, ed un meccanismo sanzionatorio in presenza di una “violazione grave e persistente da parte di uno stato membro” dei valori enunciati all’articolo 2: il risultato finale può essere, in casi estremi, la decisione, adottata all’unanimità da tutti gli altri paesi Ue, di sospendere i diritti di voto di tale stato membro in seno al Consiglio (uno dei due rami, con il Parlamento, del legislatore europeo).
Alla fine del 2015, il nuovo presidente della Polonia, Andrzej Duda (nella foto), ha rifiutato di nominare tre giudici costituzionali designati dal parlamento uscente, e il parlamento polacco ha adottato una legge che pone la televisione e la radio pubbliche sotto il controllo del ministero del tesoro, invece che di un organismo indipendente come in passato.
Quanto basta per sollevare dubbi sull’impegno del partito nazionalista e euroscettico Diritto e Giustizia di Jarosław Kaczyński, al potere da ottobre 2015, a rispettare pienamente lo stato di diritto e le regole del gioco democratico e far scattare due lettere di chiarimenti inviate in dicembre dalla Commissione Ue al governo polacco.
Le risposte da parte polacca non sono state considerate soddisfacentie la Commissione ha deciso, il 13 gennaio 2016, di intraprendere per la prima volta una nuova procedura, in vigore dal 2014, per assicurare il rispetto dello stato di diritto, fondamento di tutti gli altri valori dell’Ue, da parte di uno stato membro in cui si verifichi una disfunzione sistemica (non uno o più casi isolati, quindi), che compromette l’integrità, la stabilità e il corretto funzionamento delle istituzioni e dei meccanismi istituiti a livello nazionale per garantire lo stato di diritto.
Tale procedura era stata istituita per permettere di ristabilire, attraverso un processo di dialogo tra la Commissione e lo stato membro in questione, il pieno funzionamento dello stato di diritto ed evitare così il ricorso alla procedura dell’articolo 7.
Procedura che non è mai stata attivata nella storia dell’Ue: né nel 2000, quando il Partito austriaco della libertà di Jörg Haider, di estrema destra, è entrato a far parte del governo austriaco, e gli altri 14 stati membri dell’epoca hanno reagito con la minaccia di sospendere le relazioni bilaterali tra ognuno di essi e l’Austria; né nei confronti dell’Ungheria, il cui governo Orbán aveva adottato nel 2012 e nel 2013 leggi e modifiche costituzionali che hanno introdotto limitazioni per il potere giudiziario e ristretto la libertà di stampa.
Cosa cambia oggi con la Polonia, tanto da giustificare l’avvio nei suoi confronti della “procedura per lo stato di diritto” che precede quella dell’articolo 7?
Intanto l’esistenza stessa della procedura pre-articolo 7, che mancava prima del 2014. L’effetto dissuasivo di tale procedura, secondo lo stesso presidente della Commissione Jean-Claude Juncker, dovrebbe essere tale che sanzioni contro la Polonia appaiono al momento assai improbabili.
Poi il peso politico della Polonia che è diventata, grazie alla forte crescita economica e ai governi pro-europei, un partner indispensabile del motore tradizionale, franco-tedesco, dell’integrazione europea. C’è forse, da parte delle istituzioni europee, la malcelata speranza che pressioni politiche e moral suasion possano convincere l’elettorato polacco a ritornare su posizioni più europeiste, dal momento che il partito Diritto e Giustizia ha sì conquistato la maggioranza assoluta dei seggi la parlamento polacco, ma solo con il 37% dei voti.
Infine l’atteggiamento della nuova leadership polacca, il fatto che abbia deciso di varare i provvedimenti contestati tra i primissimi atti della legislatura, che ha irritato i partner europei e gli osservatori internazionali.
Secondo Guy Verhofstadt, ex primo ministro belga e oggi parlamentare europeo molto influente, se oggi la Polonia facesse domanda di adesione all’Ue, non sarebbe accolta proprio perché non rispetterebbe i valori fondamentali dell’Unione.
Per la prima volta nella sua storia, i valori dell’Ue, e non le regole giuridiche in senso stretto, vengono alla ribalta. Ci sembra importante, anche per ricordare ad altri stati membri, percorsi da tentazioni autoritarie, che l’Ue è davvero, e non solo a parole, una comunità di valori.