La politica è la cura del dopo coronavirus
Come si presentano la politica e il potere al tempo del Coronavirus? Sono aspetti di una crisi globale che vede interdipendenze tra economia, sanità, stili di vita, modello di sviluppo, ambiente, disuguaglianze sociali, rapporti tra città, Regioni, Stato, Unione Europea, governance mondiale. La politica inizia finalmente a svolgere con autorevolezza, nonostante i conflitti di potere, la sua funzione di coordinamento, nella paura generata dalla pandemia, ad occuparsi di questioni strategiche e non solo di sondaggi e sfide elettorali per il consenso. È bio-politica che fa la differenza tra la vita e la morte a livello globale, per Pasquale Ferrara. Il provvedimento del Governo “cura Italia” esprime letteralmente il rapporto tra cura e potere.
Balza però agli occhi una contraddizione. Se da una parte si richiedono processi di disintermediazione attraverso la democrazia diretta e il rapporto immediato tra leader e popolo, da un’altra si sollecitano deliberazioni politiche rapide e collegiali per affrontare uno shock simmetrico dello stato di emergenza.
Questa crisi ci insegna che anche le democrazie possono affrontare situazioni eccezionali, che richiedono qualità del potere e capacità di agire comunicativo attraverso il convincimento dei cittadini.
Possiamo dire che si tratti della fine della prima ed ingiusta globalizzazione? Con la pandemia da coronavirus l’Europa ed il mondo sono ad un bivio vitale. Vengono colpite le fragilità personali di anziani, pluripatologici, fumatori, e personale operante in luoghi con alti livelli di inquinamento. Saltano le complesse interconnessioni del villaggio globale a livello di voli aerei e di scambi tra persone, imprese, istituzioni. Trump e Johnson sono costretti a smentire loro stessi nel giro di poche ore, dopo aver sottovalutato il dramma del contagio e delle morti.
I Paesi come l’Olanda, la Germania e l’Austria sono tentati dal pensare di fare da soli con i vecchi strumenti del meccanismo europeo salva stati, il Mes (Meccanismo europeo di stabilità), come se il loro destino potesse essere disgiunto da quello delle cicale loro vicine: Italia, Spagna, Francia, cioè mezza Europa. Sarebbe un errore tragico, se non si trovasse un compromesso storico entro breve tempo, mentre il mondo va configurandosi sempre più come grandi aree geopolitiche intorno a Stati Uniti, Cina, Russia, India. Nessun Paese Ue, neppure la Germania, ha la forza per farcela da solo. Bisogna riscrivere l’unità europea su basi politiche e di fiducia reciproca, di vera solidarietà oltre le tecnocrazie e il rigore nei bilanci.
Dobbiamo passare da una globalizzazione sfrenata ad una glocalizzazione governata e basata su solide comunità locali e nazionali. Si rafforzerà così una Comunità europea come area integrata con un mercato ed istituzioni comuni, in grado di dialogare con i grandi della Terra, di superare le gravi disuguaglianze interne e generazionali, con un nuovo modello di sviluppo sostenibile e inclusivo, in grado di evitare il collasso dei sistemi politici.
L’Europa è ad un bivio storico: o si integra anche con strumenti nuovi di solidarietà come titoli comuni emessi dalla Commissione europea, oppure è destinata a sciogliersi per egoismi interni e miopia di tecnocrati. Papa Francesco ha affermato: «È tempo di reimpostare la rotta. Ci scuota il richiamo formulato, con saggezza ed urgenza, dal Presidente Mattarella: ogni ritardo nel riavviare autentica coesione e fattiva solidarietà potrà esserci fatale. E ci sia di monito l’antico proverbio africano: “Da soli si va più veloci. Insieme si va più lontano”».
In questo quadro possiamo parlare di un tramonto del liberalismo, visti anche i pieni poteri richiesti e ottenuti in Ungheria? L’Occidente è vissuto per 70 anni su un patto civile che ha permesso di superare le sue crisi. Ora però sta sgretolandosi sotto i colpi dei populismi e dei sovranismi, non ultimi la politica di Trump e la Brexit. La democrazia non è più scontata, come si è pensato per anni. Alcuni leader propongono una formula di democrazia “illiberale”, soprattutto in Paesi abituati alle democrazie popolari e autoritarie dell’Est. L’analisi del presente è preoccupante. Esiste una possibile via di uscita dallo stallo politico, economico e sociale dopo la Grande Contrazione del 2008 e la pandemia da coronavirus?
Gianni Riotta, nella introduzione al libro di E. Luce, Il tramonto del liberalismo occidentale, Einaudi, Torino 2017, scrive: « Se le nostre democrazie, economie, culture e società non sapranno rinnovarsi davanti alle sfide drammatiche e ineludibili del XXI secolo, il futuro non sarà l’Eden della libertà cui i blog populisti fan da grancassa, né il giardino delle tecnologie promesso dai vati dell’Intelligenza Artificiale. Sarà il caos temuto da Luce come già gli antichi Greci, e stavolta il web, non un aedo con la cetra, canterà l’epica strage delle identità».
Perché l’egemonia occidentale si è indebolita? Di quali problemi sono sintomo i populismi? Quali le cause della crisi del liberalismo? Innanzitutto l’errata convinzione della «fine della storia» nel 1989 e l’arroganza delle élite nei confronti dei “dimenticati” del mercato, degli ultimi e dei ceti medi impoveriti.
Si tratta di «governare il vuoto», secondo l’espressione di Peter Mair, studioso dei Cartel party e della crisi dei corpi intermedi e non solo, causato da cooptazioni, tecnocrazia, peggioramento progressivo del ceto politico (da Trump a… Bolsonaro).
Siamo di fronte ad un deficit democratico in Unione Europea a causa della depoliticizzazione dei processi decisionali e l’allontanamento progressivo dei partiti – diventati quasi enti parastatali – dai cittadini. Occorre perciò approfondire il ruolo dei partiti stessi e la riaffermazione della Politica come cura per il dopo il coronavirus. Le libertà sono oggi in pericolo per l’imposizione di uomini forti e di “democrature” intrise di autoritarismo sostanziale, come pure – specie in questo momento – per l’accentuata infiltrazione delle mafie nei luoghi della politica, dell’economia e della finanza.
Serve, pertanto, una nuova soluzione di democrazia partecipativa e deliberativa. Ma come arrivarci? Ancora una volta sono i mistici, capaci ad insegnarci la strada in questo momento della nostra storia, sospeso tra la paura di una malattia irreversibile e quello che può sembrare “il silenzio di Dio”.
Pertanto, hanno ancora più senso queste parole di Chiara Lubich: «Per stare al passo con i tempi e con Dio…tradurre in vita da subito quell’idea-forza che è la fratellanza universale e aprirsi ai valori profondi ed eterni dell’uomo, e farlo vivendo l’arte di amare […]. Quest’arte la si può, la si deve vivere anche in politica, apporto indispensabile per raggiungere il mondo unito» (intervento al Convegno “Insieme per l’Europa”, Stoccarda 8 maggio 2004).