La politica come missione

L’anno prossimo cadrà il cinquantenario della morte di Alcide De Gasperi e già sono in atto numerose iniziative per celebrarlo. Fra i diversi aspetti della sua figura, uno, in particolare, attira oggi l’attenzione: la convinzione che la politica può essere una autentica vocazione, e il luogo dove arrivare alla santità. È in corso, infatti, anche per De Gasperi, oltre che per Robert Schuman e Igino Giordani, il processo di canonizzazione. Tratteggiamo, con l’aiuto della figlia Maria Romana, alcuni aspetti della figura e dell’azione del grande statista trentino. Signora De Gasperi, come ebbe inizio l’impegno politico di suo padre? “Aveva cominciato a occuparsi dei problemi della società, e specialmente dei più poveri, a sedici-diciassette anni. Il vescovo di Trento, Endrici, era un uomo molto forte, e aveva sempre insistito, con i giovani, sul fatto che avessero del carattere: cosa che colpì molto mio padre. Fu il vescovo a spingerlo ad occuparsi di politica, vista attraverso il sociale. Mio padre andava nelle valli trentine a portare le idee della Rerum novarum; in una lettera scrisse di avere preso molte busse, molto freddo e anche una polmonite, alla fine di questo giro. E gli rimase impressa la povertà della gente”. Durante la guerra, quando era deputato a Vienna, De Gasperi rimase in silenzio nei confronti del governo austriaco? “Niente affatto. L’occasione venne nel 1917, quando la Camera venne riaperta per un certo periodo. Poté fare un discorso, il 28 settembre, nel quale addirittura non solo accusava i signorotti locali che – forse all’insaputa del governo – si permettevano di maltrattare i trentini, ma parlò contro l’impiccagione di Battisti, argomento che nessuno, allora, aveva il coraggio di affrontare. Leggendo questi discorsi, colpisce la tolleranza che esisteva dentro l’impero austro-ungarico, dove il rappresentante di un popolo sottomesso all’Austria si proclamava italiano, e ammoniva: “Lasciate che il conto dei tiranni aumenti, finché un giorno paghi di un sol tratto la colpa generale e quelle speciali. Questo giorno deve venire e verrà””. De Gasperi si dedicò totalmente all’impegno politico finché, proprio nell’anno dell’ascesa di Mussolini al potere, si sposò. Come si conobbero suo padre e sua madre? “Mio padre si è sposato tardi, quasi a quarant’anni. Mia madre, Francesca Romani, era la sorella di Pietro, che era stato compagno di studi di mio padre a Vienna. I due si stimavano e conservarono l’amicizia anche dopo l’università. Pietro una volta invitò mio padre ad andarlo a trovare a casa sua, a Borgo Valsugana. La signorina Francesca aveva avuto altri fratelli e due genitori, direi, eccezionali per quel tempo. Il padre era un commerciante all’ingrosso di farine e cereali; né lui né mia nonna avevano studiato, ma mandarono i loro figli nei migliori collegi all’estero: mia madre andò in Inghilterra. “Al primo incontro si salutarono e basta; la seconda volta cominciò una grande simpatia. Mio padre era allora deputato del partito popolare; e voleva far capire che egli, nella vita, si era proposto una missione: la politica. Ed essendo una missione, non voleva arricchire al di fuori delle normali possibilità, e voleva mantenersi onesto. Per questo, pur essendo ormai innamorato, le scrive delle lettere con un tono quasi duro, come per dirle: questo io voglio fare, questa è la mia strada, sappi a che cosa vai incontro, sei sicura che vuoi condividere questa vita? Quando lei gli rispose di sì, si aprì un periodo eccezionale; perché mio padre non era soltanto un buon cristiano, era innamorato di Cristo. La mamma fu una donna veramente dolce, ma allo stesso tempo forte, perché, per mio padre, affrontò una vita veramente difficile. Già dai primi anni dovette condividere con lui tutte le difficoltà che il fascismo gli mise di fronte”. De Gasperi voleva insomma che il suo matrimonio fosse all’altezza della sua vocazione politica? “Sì. È un tema che ho affrontato nel libro Mio caro padre, quasi una lunga lettera che io gli scrivo. Pur avendo già precedentemente letto tutto di lui, ho ripreso in mano i suoi scritti e discorsi, anche quelli alla Camera: se uno li guarda dalla prospettiva della spiritualità, vi trova quasi sempre un riferimento all’etica, alla spiritualità, l’affermazione che queste non vengano dimenticate, perché altrimenti la politica è poca cosa. È stata una sorpresa anche per me: in quasi tutti i discorsi parla di Dio. Hanno sopportato che parlasse in questo modo, e nessuno l’ha mai contrastato su questo punto, perché la sua vita corrispondeva esattamente a quello che diceva”. Essere democratici, nel periodo fra le due guerre e anche all’indomani della liberazione, voleva dire molte cose diverse, a seconda di chi lo affermava: qual era la concezione della democrazia di De Gasperi? “Diceva che la democrazia è il sistema meno imperfetto su cui potevamo contare, che ancora non si era inventato niente di meglio. Aveva voluto il voto alle donne, perché convinto che ci volesse la partecipazione più ampia a questo sistema. Soprattutto nei primi discorsi del dopoguerra batteva moltissimo sull’idea della responsabilità; ne ricordo uno dei tempi in cui si doveva scegliere fra repubblica e monarchia; diceva: siete disposti a prendervi la responsabilità di una repubblica? Vuol dire partecipare alla cosa pubblica molto di più di quel che è richiesto in una monarchia; dovete sapere che, se volete la repubblica, dovrete impegnarvi di più”. Si sentiva aiutato nel partito? Trovava una corrispondenza? “Ci furono situazioni in cui fu solo, nel partito, soprattutto nelle decisioni più dure. Ad esempio, aveva una situazione molto difficile nel rapporto con gli Alleati, che trattavano l’Italia da paese vinto. De Gasperi comprendeva che solo firmando quel trattato si sarebbe potuto, poi, cominciare a ricostruire; vedere che questo pensiero non era condiviso da molti di quelli sui quali contava fu una delle tante fatiche. “Un’altra situazione di solitudine la visse mentre cercava di preparare la Ced, cioè la costruzione di un esercito comune europeo. Ma anche a proposito della riforma elettorale, di quella del Senato, dell’unità politica dell’Europa: tutte cose che egli aveva iniziato, e che oggi ritroviamo sul tavolo dei problemi politici contemporanei”. Si può dire che De Gasperi fu un liberale? “Non gli piaceva essere chiamato così, perché c’era stato un partito di cattolici liberali e non voleva essere confuso con quel tipo di partito. Aveva anche passato un periodo nel Trentino, nel quale aveva avuto delle polemiche con i liberali classici, che combattevano i cattolici. Tuttavia, dopo avere vinto le elezioni chiamò i liberali a collaborare al governo, insieme ai socialdemocratici e ai repubblicani, perché vedeva nella loro storia, perlomeno, un contributo alla libertà e all’unità d’Italia; apprezzava questo patrimonio e non voleva che fosse dimenticato”. Non era un liberale e non era un socialista, ma attingeva alla dottrina sociale cristiana per elaborare una sua originale concezione dello stato democratico: si può dire così? “Certamente. E credo che in questo trovasse alimento dalle sue quotidiane e mattutine meditazioni del Vangelo, del quale poi cercava di applicare i princìpi”. Suo padre faceva meditazione al mattino? “Leggeva tutte le mattine l’Imitazione di Cristo. Faccio un salto indietro. Lui non conosceva le favole, e a noi bambine, allora, raccontava le storie del Vangelo. Eppure non ci ha mai obbligato a fare cose che non volevamo fare. Il suo era un esempio. Potrà sembrare strano, ma la sua spiritualità, la sua morale, la sua religione, erano una cosa sola con la sua politica. Noi ci immaginiamo che abbia fatto certe cose perché aveva letto, aveva studiato” certamente lo studio c’è stato, ma molto gli veniva dal suo impegno di cristiano nel mondo” De Gasperi riusciva ad essere presente in famiglia? “Quando rientrava in famiglia chiudeva la porta. Era rarissimo che rimanesse fuori la sera dopo cena, o che lo chiamassero al telefono: nemmeno i suoi ministri lo facevano. Lui sapeva che quando arrivava a casa trovava la tranquillità e la serenità. In questo devo dire che mia madre è stata una donna eccezionale; ma anche per noi figlie è stato facilissimo essere contente con lui, parlargli delle nostre cose”. A che ora rientrava la sera? “Verso le otto e mezzo, nove. Lui diceva che la sera bisogna chiudere i pensieri nei cassetti. Infatti mio padre dormiva di notte, senza pastiglie. E la mattina, verso le sette, quando arrivava la sua vecchia “tata” – che è stata con noi da sempre – e gli portava il caffè, lui si svegliava, e mentre girava il caffè diceva: “Ecco vedi, quando tu mi porti il caffè, mi ricordo che sono io De Gasperi!”. Come per dire che, fino a un minuto prima, aveva dormito in pace. “Aveva un contatto quasi continuo con mia sorella suora, Lucia. Lei aveva il permesso di leggere i giornali e quando c’era, nella situazione politica, qualche problema grave, scriveva a mio padre dei fogliettini, nei quali cercava dei paralleli fra episodi del Vangelo e i problemi che mio padre poteva avere. E mio padre le scriveva delle belle lettere, le diceva: tu mi aiuti veramente. La scelta di mia sorella, nei primi tempi, lo aveva un po’ preoccupato, perché lui amava la famiglia, i figli, i nipoti, avrebbe voluto avere una grossa famiglia; e quindi, perderne una” Ma poi l’ha ritrovata, perché hanno continuato a scriversi, ed è stata una cosa splendida. Scriveva, a questa figlia: “Tu hai scelto la parte migliore”. Mia sorella è morta giovane; ho pubblicato i suoi bigliettini nel libro, a suo nome, Pensieri e lettere al padre, che sarà presto ripubblicato dalla Morcelliana”. A suo giudizio, quali sono le cose più importanti che suo padre ha realizzato in politica? “Ne ha finite pochissime, ma ne ha iniziate molte, consegnandole al lavoro di chi gli è succeduto. La più importante è stata l’immaginare e il sognare l’unità politica dell’Europa, che io considero una rivoluzione, se si pensa che ancora la mia generazione considerava come un nemico quello che stava al di là delle Alpi, e sembrava giustissimo sparargli contro. A questa situazione si volle contrapporre l’idea di mettere insieme i popoli, per volontà loro, sostenuta da uomini come Schuman e Adenauer. Anche in questa idea c’era il suo amore per la gente, il suo cercare il bene degli altri. E cercò di riportare l’Italia nel consesso internazionale in modo dignitoso e attivo”. E sul fronte interno? “Ci sono state tutte le leggi per sostenere una democrazia positiva, soprattutto la riforma agraria, la riforma fondiaria, la riforma Vanoni” Noi oggi le troviamo naturali, ma allora non lo erano. Mi ricordo di certe persone, proprietari fondiari, che erano gentili con lui e, dopo certe leggi, non lo guardavano più. Sono riforme che hanno impostato lo stato”. LE TAPPE DI UNA VITA Alcide De Gasperi nasce il 3 aprile 1881 a Pieve Tesino, vicino a Trento, allora parte dell’Impero austro- ungarico. Si laurea in filologia a Vienna nel 1905; poco dopo assume la direzione de La Voce cattolica di Trento. Consigliere comunale a Trento nel 1909, diventerà deputato del Partito popolare trentino nel 1911: il più giovane nel parlamento viennese. Col ricongiungimento del Trentino all’Italia, nel 1919 aderisce al Partito popolare italiano di don Luigi Sturzo; viene eletto deputato nello stesso anno e riconfermato nel 1921. Nel 1922 sposa Francesca Romani, dalla quale avrà quattro figlie. Dopo le dimissioni di Sturzo, sarà segretario del Partito popolare dal maggio 1924 al dicembre 1925. Viene arrestato l’11 marzo 1927, in treno, nei pressi di Firenze, sotto l’inverosimile accusa di espatrio clandestino; condannato dal Tribunale speciale fascista a 4 anni, uscirà dal carcere dopo 18 mesi. In carcere, De Gasperi riprende gli studi; è a questa detenzione che si deve il libro, pubblicato nel 1931, sotto lo pseudonimo di Mario Zanatta, I tempi e gli uomini che prepararono la “Rerum novarum”: in esso, De Gasperi scava le origini e i concetti fondamentali del pensiero sociale cattolico moderno, ponendo le premesse teoriche per una concezione cristiana e laica dello stato, diversa da quelle liberale e socialista. All’indomani dell’8 settembre 1943 partecipa alla fondazione, con i rappresentanti degli altri raggruppamenti politici, del Comitato centrale di liberazione nazionale. È il periodo nel quale ferve il lavoro per preparare un nuovo partito democratico di ispirazione cristiana: le Idee ricostruttive della democrazia cristiana sono pubblicate da Il popolo clandestino nel luglio 1943. Nel luglio 1944 diviene segretario politico della Democrazia cristiana; in dicembre entra, come ministro degli Esteri, nel secondo governo Bonomi. Un anno dopo sarà presidente del Consiglio, carica che manterrà quasi ininterrottamente fino all’agosto 1953. Muore a Selva di Valsugana il 18 agosto 1944. CHIARA LUBICH SU ALCIDE DE GASPERI “Altra presenza notevole che ha sottolineato quel significato politico che poteva avere il nostro movimento è stata quella di Alcide De Gasperi, trentino come le prime e i primi focolarini. Era molto vicino al nostro movimento. La spiritualità dell’unità, che ha conosciuto abbastanza profondamente, lo affascinava e rafforzava in lui quella vocazione all’unità che, assieme ad Adenauer e a Schuman, lo ha fatto fondatore dell’Europa unita. “Specie negli ultimi anni – come si comprende da un documentario che lo riguarda – tutti i suoi pensieri confluivano, in certo modo, nel “che tutti siano uno” di Gesù. Quel Gesù che egli ha invocato prima di morire per tre volte. Per parte nostra, a contatto con De Gasperi ci siamo resi conto di quanto può costruire un politico che ama la sua patria e quanto questo gli possa costare. Fra De Gasperi e noi era iniziata una certa corrispondenza. In una mia lettera del 1950 gli avevo scritto: “Lei vale per noi quanto vale Gesù tra noi, perché è nostra convinzione che ogni autorità viene da Dio (“). Lei ha tutta la grazia di stato per governare l’Italia (“); dovrebbe essere l’espressione più luminosa dei suoi e degli altri””. (Il Movimento dell’unità per una politica di comunione, Castelgandolfo, 9 giugno 2000) “C’è santità alle radici dell’Europa: e non solo di quella che la storia ci consegna, ma anche dell’Europa che noi oggi stiamo costruendo, come ci è testimoniato da alcune delle figure dei padri dell’Europa unita: Robert Schuman e Alcide De Gasperi. Per essi è stato avviato il processo di canonizzazione che testimonia la loro santità, nel corso del quale si sta accertando, in particolare, come essi abbiano vissuto in maniera eroica non solo le virtù religiose, ma quelle civili che la loro professione politica richiedeva”. (L’Europa unita per un mondo unito, Madrid, 3 dicembre 2002)

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