La polarizzazione a stelle e strisce
“Tu hai torto, io ho ragione” è la continua diatriba che agita l’opinione pubblica statunitense nell’era Trump, dove i membri dei due maggiori partiti rappresentati al Congresso, repubblicani e democratici, si contrappongono con toni che talvolta deviano in aggressione e insulto, dove sfumature di ragionevolezza offerte da sondaggi ed esperti vengono immediatamente smentite dai commenti e dai like della nuova piazza elettorale: il web, luogo delle informazioni globali dove l’attivismo virtuale è in espansione, e tanti leader politici vi si ritrovano impreparati e poco avvezzi alla collaborazione e alla mediazione con chi proviene da un mondo reale. Risultato di questa strategia della polarizzazione è un tessuto sociale lacerato. E su questo tutti gli schieramenti concordano.
A distanza di tre anni dalla comparsa del fenomeno Trump, gli Usa si ritrovano con un’identità indebolita, un’erosione di fiducia nelle istituzioni pubbliche e una cultura del sospetto che attraversa il sistema giudiziario, i media, le grandi aziende, la comunità civile, le famiglie. La propaganda bipartisan ha fatto della politica uno dei temi più divisivi della nazione al punto da intaccare quel “E pluribus unum” (Molti ma uno) che è patrimonio fondativo degli Usa.
E invece quotidianamente ci si trova di fronte a due visioni del mondo, a due Americhe, a due formazioni politiche i cui aderenti dichiarano pubblicamente di “aver paura dell’altro, di cercare sul web argomenti intelligenti che rinforzino i loro punti di vista e sono ansiosi di trovare tematiche che deridano i rivali e li incasellino come bigotti e incapaci di cambiamento”.
Secondo una ricerca del Pew Center, un organismo indipendente di analisi sociale, né i democratici né i repubblicani, sono interessati ad argomentazioni intelligenti che sfidano i loro stessi punti di vista e le loro posizioni, anzi quasi il 30 per cento di loro, preferirebbe vivere in luoghi con le stesse opinioni politiche. “Immersi in una bolla auto-selezionata di amici, vicini e colleghi, è facile dimenticare quanto sia importante cercare di camminare nei panni degli altri “, ha spiegato nel libro What Unites Us (Cosa ci unisce) Dan Rather, storico giornalista della rete Cbs.
Uno studio condotto su mille elettori repubblicani e democratici ha distribuito dei dati di analisi su un prodotto. Quando i dati sono stati applicati all’efficacia di una crema per la pelle, i due schieramenti erano concordi nei risultati. Quando gli stessi numeri sono serviti ad analizzare una misura sul controllo delle armi, anche i calcoli matematici sono stati piegati all’ideologia, con risultati estremamente divergenti. In un contesto di costante demonizzazione di tutti e di tutto abbondano le cospirazioni, alcune alimentate anche dall’istituto presidenziale e si arriva a negare persino che stragi come quelle della scuola di Parkland in Florida o di Sandy Hook in Connecticut siano accadute realmente, perchè secondo l’ala complottista sono montaggi in stile hollywoodiano. Inutile incontrare i genitori e i familiari delle vittime, i feriti, i sopravvissuti; c’è totale oblio delle indagini della polizia e della stessa confessione dei colpevoli.
Nell’arsenale comunicativo della nuova amministrazione c’è una narrativa di Paese che si alimenta dei social, vi si esprime con vivacità o con accuse talvolta discutibili, mentre proliferano le insinuazioni oscure “su altri che ci ingannano; ci stanno prendendo in giro, e un mondo che sta ridendo di noi”.
Intanto a Princeton e alla Georgetown University, un gruppo di ricercatori, di studenti e di futuri leaders politici hanno dato vita ad una serie di laboratori per superare la polarizzazione, adottando la strategia dei “Cinque Passi per un positivo dialogo politico”. Prendendo spunto da un piccolo manuale, pubblicato da New City Press e scritto da Amy J. Uelmen, docente della facoltà di giurisprudenza della Georgetown, l’esperimento mira a creare nelle classi, ma anche con specifici workshop già attuati in vari stati, spazi di “relazione tra oppositori politici” in cui ciascuno spiega anzitutto le proprie convinzioni e le presenta, senza alcuna retorica, ad un’audience dalle idee più varie. Il primo passo da attuare in questo processo è la connessione, cioè conoscere l’altro, i suoi gusti, la famiglia, gli hobbies, quali esperienze lo hanno condotto ad aderire ad un progetto politico.
Il secondo passo riguarda il parlare senza celare la vulnerabilità: si sceglie un tema e ci si scambiano le rispettive posizioni a riguardo. In quel momento serve chiedersi cosa motiva lo scambio: la paura o l’accoglienza? La rabbia o l’empatia? L’ascolto generoso è a base del terzo passo che richiede di monitorare le espressioni facciali dell’altro mentre si esprime e di prestare attenzione ai sentimenti che quel discorso suscita in me, per comprendere se sto offrendo la mia attenzione o al contrario sto innescando il giudizio. Porgere domande ragionate è il quarto passo del laboratorio che chiede appunto domande oneste che indagano i valori dell’altro e le sue preoccupazioni. L’ultimo passo è mollare la strategia del win-lose (vincitore-sconfitto) e quindi lasciare che ci siano vuoti o silenzi perchè non si trovano soluzioni, senza far pressione per arrivare alla risposta giusta o sbagliata.
“Le attuali tensioni sociali e politiche hanno acuito la paura di discutere questioni controverse, per timore di offendere e ferire, ma evitando le sfide si rischia di perdere soluzioni e iniziative creative e questa è una di quelle”, spiega la Ulmen che proprio in questi giorni ha pubblicato un nuovo volume sul superare la polarizzazione, dedicato a studenti e insegnanti. Chi ha partecipato all’iniziativa ha ricostruito relazioni messe a prova dalla polarizzazione, ha compreso meglio i propri ideali, ha valutato meglio i candidati, scegliendo quelli più propensi al dialogo e alla ricerca della verità e si è proposto come mediatore politico nei dibattiti.
Forse anche per l’Italia questo esercizio dei “Cinque passi” potrebbe tornare utile dopo settimane di demonizzazione e parole di fuoco, in vista di una nuova e necessaria legislatura, rappresentativa della nazione e non solo di alcune parti.