Con la poesia rinascono i borghi
Con la poesia rinascono i borghi, se c’è un poeta che li ama e non li abbandona. Paolo Fiorucci è un poeta e un libraio. Prima faceva il portiere di notte (e altre cose). La sua libreria ha ereditato il complemento di specificazione (e tempo) del mestiere precedente, concretizzando un sogno: far rinascere i paesi con la letteratura.
L’ho conosciuto in un borgo abruzzese minuscolo e meraviglioso: Fontecchio. Abbiamo presentato un libro risalendone i vicoli, fermandoci davanti ai suoi luoghi più belli. Una trentina di persone itineranti (significativa rappresentanza di un paese di trecento abitanti) a leggere ad alta voce, a lasciarci interrogare dalle parole. Ci siamo anche commossi. Intorno a un libro (come i primi uomini intorno a un fuoco) abbiamo fatto comunità. Questo grazie a Paolo Fiorucci.
Poi ho scoperto che lui questa cosa bellissima la fa da anni anche in altri borghi, portando centinaia di persone a incontrare autori, a parlare con loro. Dal 2020 Paolo Fiorucci è direttore artistico del Festival “Libri nell’entroterra” a San Benedetto in Perillis (AQ), dove ha dato vita al progetto “Borgo del libro”. Gli abbiamo chiesto di raccontarci com’è iniziato tutto.
Nella tua ultima raccolta, Quando piove canto più forte (Neo Edizioni, 2021), c’è una poesia che sembra un autoritratto. Riporto l’incipit: «Io non sarò più io, / sarò un me vecchio in attesa/ nell’ultima libreria del mondo». Resisteranno le librerie nell’era digitale? Cosa ti ha spinto ad aprirne una in un paese? Il paese come ha risposto?
Sono pienamente convinto che il cartaceo sopravvivrà nell’era digitale e all’era digitale. L’oggetto libro, nella forma che abbiamo conosciuto sin da bambini, continuerà ad attivare i sensi dell’uomo, assieme ai pensieri e alle emozioni suscitati dalla lettura. La poesia che citi è una dichiarazione d’amore sconfinato per il mio mestiere di libraio, un componimento in cui mi immagino vecchissimo, praticamente cieco, perduto, tuttavia ancora nell’attesa di un ultimo cliente cui consigliare strade di carta che portano “lontano dove il cuore non si sente più lontano”, per dirla come Vecchioni ne Il libraio di Selinunte.
Ho aperto una libreria in paese perché ho sempre sentito il bisogno d’incontrare in questa parte d’Abruzzo una piccola bottega piena di libri, che però non esisteva come l’avevo immaginata. Allora ho deciso di pensarci io, di far diventare il mio desiderio realtà e di inaugurare “Il Libraio di Notte” nel 2018 a Popoli (PE). Il paese ha risposto positivamente e il negozio è diventato un punto di riferimento anche per gli abitanti dei borghi limitrofi, dove non sono presenti librerie.
Nella poesia A vent’anni non basta partire, scrivi dei tuoi amici partiti per realizzare i loro sogni. Se tornassi indietro, partiresti anche tu? O i tuoi sogni sono dove sei?
Fortunatamente considero conclusa la stagione della vita in cui si rimpiangono le partenze mancate, il periodo in cui sei convinto che la soluzione a tutti i problemi sia tutta in un treno perso o preso. Oggi cerco di far abitare i miei sogni nel luogo in cui risiedo e nel tempo che sto vivendo, credo sia l’unica via possibile per realizzarli, provando ogni giorno un tentativo di felicità.
Nei tuoi versi ci sono i vicoli stretti dell’Appennino, gli scogli caldi dell’Adriatico, abitati (tra gli altri) da Mohammed e da un’anziana signora dell’est. Rinascono anche così i paesi? Grazie ai migranti? Quale, quanta vita portano? Riescono a sentirsi a casa?
I migranti possono costituire una possibilità per i paesi in via di spopolamento e contribuire alla rinascita dei borghi, ma c’è bisogno di un’azione concreta, di politiche specifiche e incentivi reali, in modo da evitare sfruttamento e cattiva accoglienza. I migranti portano con sé il bagaglio e le vite di chi è costretto a partire, anche quando non hanno valigia, e tanta incertezza, che poi è la stessa degli stranieri che abitano le mie poesie. Non ci sono risposte nei miei versi a loro dedicati, il sentirsi a casa è il dono di un momento d’estate, nel caso dell’anziana signora dell’Est, o il ritorno a un deserto “meno deserto che qui” per la durata di un sogno, nel componimento scritto per Mohammed.
«Scrivo perché ho fame/ e so fare solo questo:/ avere fame e scrivere». Apri così il tuo ultimo libro. Ci si sazia di parole? Oppure quando si scrive (e legge), viene ancora più fame? Di cosa?
Dipende dalle parole, che non sono tutte uguali. Vanno scelte bene, quando si scrive e quando si legge, non vanno subite mai. Quando si scrivono e si leggono parole scelte con cura si è sazi, non si teme il silenzio – che dice tantissimo -, si vive nella pienezza.