La piramide capovolta

La lezione di papa Francesco. Coloro che esercitano l’autorità si chiamano ministri, cioè «i più piccoli fra tutti». Una Chiesa sinodale è una Chiesa dell'ascolto
papa lava i piedi

Se non l'avevamo ancora capito, papa Francesco ci ha fatto una lezione chiara sul concetto che ha di Chiesa. Ha approfittato della celebrazione del 50° anniversario dell'istituzione del Sinodo dei vescovi, sabato scorso, nell'aula Paolo VI.

 

Per cogliere il succo del suo discorso bisogna stare attenti agli accenti che egli pone: in primo luogo non sta il sinodo in se stesso come istituzione, ma la «sinodalità come dimensione costitutiva»della Chiesa. Perché – come dice l’etimologia greca della parola sinodo – «la Chiesa non è altro che il camminare insieme del gregge di Dio sui sentieri della storia incontro a Cristo Signore».

 

Con un discorrere radicalmente evangelico, Francesco pone l’immagine di riferimento di questa Chiesa in cammino: una piramide capovolta. E spiega: «Al suo interno nessuno può essere 'elevato' al di sopra degli altri. Al contrario, nella Chiesa è necessario che qualcuno 'si abbassi' per mettersi al servizio dei fratelli lungo il cammino». Coloro che esercitano l’autorità si chiamano ministri, cioè «i più piccoli fra tutti». Per questo il papa, vicario di quel Gesù che nell'ultima cena ha lavato i piedi agli apostoli è «servo dei servi di Dio».

 

È un linguaggio che, nonostante i cinquant'anni trascorsi dal Vaticano II, non è ancora diventato normale nella Chiesa e quindi nemmeno nell’esercizio dell’autorità. Francesco dice realisticamente che ciò «non è così facile da mettersi in pratica».

Da questo principio evangelico scaturisce il senso della sinodalità come manifestazione della comunione, in un dinamismo che ispira tutte le decisioni ecclesiali. Che si muove in un contesto dove cade la separazione fra Chiesa docente e Chiesa discente.

 

«Una Chiesa sinodale è una Chiesa dell'ascolto […] È un ascolto reciproco in cui ciascuno ha qualcosa da imparare. Popolo fedele, collegio episcopale, vescovo di Roma: l'uno in ascolto degli altri; e tutti in ascolto dello Spirito Santo». Anche qui: quanto è abituale nella Chiesa questo linguaggio?

 

Ma allora il papa vuole “democratizzare” la Chiesa?, chiederà qualcuno. Non è affatto sua intenzione e afferma chiaramente la funzione dei vescovi e, in particolare, quella del vescovo di Roma come pastori del popolo cristiano. Ma, prima di tutto, ribadisce che «il papa non sta, da solo, al disopra della Chiesa; ma dentro di essa come battezzato tra i battezzati». Come potrebbe essere papa, se prima non è cristiano, discepolo di Gesù?

 

Quell’ascolto reciproco è giustificato dal fatto che tutto il popolo di Dio è «infallibile nel credere», secondo una formula della Chiesa antica. Con una sua espressione tipica, Francesco afferma che «il gregge possiede un proprio 'fiuto' per discernere le nuove strade che il Signore dischiude alla Chiesa». Il sinodo dei vescovi è quindi «il punto di convergenza di questo dinamismo di ascolto condotto a tutti i livelli della vita della Chiesa».

 

Da un certo tempo si avvertiva che il sinodo dei vescovi, istituito da Paolo VI come espressione di comunione, era diventato poco rappresentativo di questa istanza: la partecipazione alle volte era ridotta e, sotto certi aspetti, formale. Esisteva una certa sproporzione fra le proposte dei vescovi e la voce finale del papa. Francesco ha voluto dare uno scossone a questa macchina un po’ frenata per metterla sul «cammino della sinodalità che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio».

 

Un’ultima pennellata di conferma. Il papa si augura che il principio della sinodalità aiuti le relazioni fra le chiese cristiane nel processo ecumenico. Di fatto, Giovanni Paolo II aveva auspicato di «trovare una nuova forma di esercizio del primato»per arrivare a una situazione nuova. Parole scritte nel 1995, ma che sono rimaste finora sulla carta. Anche qui pare che Francesco voglia passare ai fatti.

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