La pioggia ipnotica di Anne Teresa De Keersmaeker
Raffinatezza formale e tecnica vertiginosa. Rain, creazione di Anne Teresa De Keersmaeker, sulla musica minimalista dello statunitense Steve Reich (spettacolo visto in Italia al Romaeuropa Festival nell’edizione del 2016), e ispirata all’omonimo romanzo della scrittrice neozelandese Kirsty Gunn, è considerata dalla stessa coreografa uno dei punti più alti della sua produzione artistica.
La danza dei 10 interpreti, tra respiro e velocità, è un contagiarsi reciproco dei movimenti che creano una corrente costante di frasi coreografiche, ripetizioni, variazioni e fioriture gestuali. È un flusso musicale e visivo ipnotico, una spirale danzante che cattura. Un movimento incessante dove leggerezza e rigore sono plasmati da una gestualità aerea avvolgente. Ed è una luminosa festa per gli occhi e per la mente la danza che muove i danzatori – 3 uomini e 7 donne – di Rosas, la compagnia della coreografa belga.
In costumi pastello, color carne, che muteranno in diverse gradazioni del rosa per trascolorare, infine, anche nel grigio e nel bianco, i performer occupano ininterrottamente tutto lo spazio del vasto palcoscenico chiuso da un tendaggio filiforme semicircolare (la pioggia). La corsa iniziale, che chiuderà anche il finale, creerà un campo di energia aperto a continui attraversamenti e intrecci di linee rette, diagonali, file, cerchi, spirali, prese, scivolamenti, salti, cadute e rialzate sempre sull’asse verticale, che generano un’architettura armonica estatica.
Il debutto di Rain, entrato nel 2011 nel repertorio del Balleto dell’Opéra di Parigi, risale al 2001 al Théâtre de la Monnaie di Bruxelles. Riallestito dalla sua creatrice nel 2016, conserva, anzi accentua, la propria bellezza strutturale, la robusta ed elegante tessitura coreografica che nasce sulla sovrapposizione ritmica delle note ripetitive di Music for 18 Musicians (1976) di Reich. Il ricco fraseggio gestuale della coreografia, a tratti solo maschile o femminile, si genera sul contrappunto dei clarinetti e successivamente degli archi. I movimenti corali, il loro convergere e distinguersi, si sviluppano come un’onda che va e viene, che espelle e riassorbe, con uscite dalle quinte o dal gruppo, posizionamenti seduti e rientri, per assoli, duetti, terzetti, quartetti e così via, seguendo una musicalità intrinseca ai corpi, che si propaga. E che li mette a dura prova fino allo sfinimento, sempre festante.