La Pietà umana di Jago

A Roma le sculture di Jacopo Cardillo, di Frosinone, detto Jago, classe 1987. Una reinvenzione del passato in chiave contemporanea
Pietà , Foto ufficiale mostra Jago

La Pietà è grande, monumentale. Lucida, rifinita – in parte – come un marmo rinascimentale. L’uomo vasto e desolato sostiene il figlio morto. La smorfia di dolore nel suo volto è immensa e cattura l’anima. Certo,c’è il ricordo della Pietà michelangiolesca ma è qui ora rivissuto con l’eco di una foto di guerra contemporanea. Un dolore universale pietrificato, ma luminoso come la pelle dei corpi e i capelli rovesciati del ragazzo.

In un’altra sala di Palazzo Bonaparte, dove si svolge la rassegna, Jago rivisita e rivive il Cristo velato del Sammartino, anno 1735. Solo che al posto del Cristo c’è il corpo gonfio di un bambino: la veste trasparente ricama le forme con un virtuosismo tecnico straordinario, tipico del giovane artista, ma non toglie lo spasimo che ci prende osservando il corpicino,  vittima di una delle tante violenza del nostro tempo.

C’è anche  il busto di papa Benedetto XVI, prima ritratto in abito cerimoniale e poi rifatto e ora ricoperto nudo di pelle grinzosa e cadente, di un volto che è una ragnatela di rughe, alza un timido sorriso, appena accennato. La superfice del marmo è lucida ma anche ruvida, in un interscambio tra perfezione-asprezza che diffonde un senso di dolente inquietudine.

Jago sa cosa vuole: non tralascia l’eredità del passato, non si rassegna a contemplarla in un museo, ma la attualizza, la carica di un significato nuovo, contemporaneo. Ecco perché la sua Venere è ora una vecchia dal corpo cadente, imperfetto e scaduto riflesso in una parete di specchi che le dà movimento,respiro e parola. Tutto passa, anche la bellezza, e la vecchiezza può essere bella.

Ecco ancora l’installazione drammatica e si direbbe spaventevole del cuore replicato in un battito ossessivo, martellante nella sala: una campana di morte o di vita? O di entrambe?.

Pietà e violenza. Umane, molto umane. Come i sassi che lo scultore raccoglieva o i marmi rudi da cui estrae ad esempio una spada come in Excalibur.

Tutte le opere di Jago sono qui, raccolte nella sua prima grande mostra antologica. Uomo del nostro tempo, e quindi mediatico, lo scultore si filma e si riproduce mentre lavora- per mesi- alle sue opere nello studio napoletano. Trasmette così la fatica e la gioia del creare.

Fra le opere, ritorna in mente il corpo sfatto del bambino morto annegato, delle veste sparsa in riccioli marmorei infiniti come onde marine. Il barocco reinventato: ma soprattutto un canto funebre, una elegia molto attuale sulla incapacità umana di accogliere l’innocenza e di proteggerla come fa il padre gigantesco che sorregge con un dolore che gli asciuga il volto il figlio inerme.

Pietas, pietà dunque, e sempre come anche accade a volte nella mostra sottostante di Bill Viola, su cui ritornerò. Da non perdere.

Roma, Palazzo Bonaparte, fino al 3.7

 

 

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