La piccola tenda d’azzurro
C’è un elemento che accomuna la vittima e l’autore dell’offesa, ed è il senso da dare al seguito della propria vita… Ho scoperto nel perdono del Signore un modello che vale per entrambi, in grado di annunciare a entrambi le ragioni del prevalere della vita… L’esperienza di sbaglio, di rimorso e di pena può servire a elaborare il cambiamento. Chi scrive queste parole è Arrigo Cavallina, uno dei protagonisti di molte azioni violente ed eversive negli anni di piombo, nel suo racconto-diario La piccola tenda d’azzurro che i prigionieri chiamano cielo (Ares). Pagine crude e poetiche al tempo stesso, attraverso le quali si dipana la storia di un uomo che è riuscito a trasformare i duri anni di carcere in un’esperienza di rinascita. Dopo un’infanzia serena a Verona, dove i genitori gestiscono un negozio di caffè e dolciumi, a dieci anni vive il dolore per la perdita del papà. Pur avendo ricevuto un educazione basata su valori cristiani, nell’adolescenza si allontana dall’esperienza della parrocchia in cui era impegnato fino a restare affascinato e convinto dalle letture marxiste. Laurea nel 1968 in Economia e Commercio. Successivamente l’insegnamento a Pescasseroli, a Verona ed infine nella provincia di Milano. La guerra nel Vietnam, la rivoluzione cubana, la guerriglia in America latina e in Africa lo portano dal Pci ai gruppi maoisti e alla cosiddetta Autonomia Operaia, dove si convince della inevitabilità della violenza armata per la conquista del potere politico. Con Cetta, sua prima compagna di vita, si prepara alla lotta, soffocando la voce interiore che si oppone a certe azioni come incendi, rapine. Pur soffrendo intimamente si butta in avanti, convinto che non ci sia altra scelta per ristabilire la giustizia in Italia. Nel marzo del 1975 il primo arresto e l’impatto con la durezza repressiva dei sistemi carcerari, da cui nascono i primi due libri: Distruggere il mostro e Lager speciale di Stato. Scarcerato, è di nuovo in prima linea nel 1978 con attività illegali contro il sistema carcerario con i Proletari armati per il comunismo (Pac). Partecipa ad attentati gravissimi: l’uccisione del maresciallo comandante del carcere di Udine, il ferimento del medico del carcere di Novara ed altri delitti, che gli provocano i primi dubbi e ripensamenti: Ho visto con ripugnanza alcuni del mio gruppo euforici per le armi che tenevano in mano; pensavo che le armi dovessero essere solo uno strumento, una triste necessità. La morte della madre, che ha sofferto non poco per le sue scelte, lo porta a riscoprire il senso di ogni vita umana. Intanto i rapporti interni ai Pac si guastano e l’unità interna si frantuma. Cavallina è travolto dalla sfiducia e da un acuto senso di sconfitta. La nuova permanenza in carcere, dopo l’arresto nel 23 dicembre 1979, lo porta ad una riflessione critica sulla lotta armata, ed è fra i primi a parlare di dissociazione. La visita di Giovanni Paolo II al carcere di Rebibbia nel Natale del 1983 e le sue insistenti parole d’amore e di perdono gli aprono nuovi orizzonti: Mentre ascoltiamo le parole del papa ci guardiamo emozionati: ci sentiamo capiti, più in profondità di qualsiasi proposta legislativa. Subito dopo, un intervento sulla riconciliazione con i carcerati del cardinale Martini lo induce a scrivergli. Inaspettata, poi, la lettera di Cesare Cavalleri, suo professore all’ultimo anno di ragioneria: è l’inizio di un rapporto di amicizia che si rivelerà determinante per il futuro. Cavalleri lo invita a scrivere articoli sulla dissociazione e sulla riforma degli istituti carcerari sulla rivista Studi cattolici. Fortemente colpito dalla lettura del libro La scuola della parola del card.Martini, scrive nel suo diario: Nella mia ricerca rappresenta una lettura decisiva. Mi ha accompagnato a scoprire quel bisogno di perdono, per poter essere libero di rinnovarmi, che m’era rimasto estraneo e incomprensibile. È lo stato d’animo di chi guardando indietro non si riconosce più, non vuole restare chiuso nel passato, sente che la persona va oltre i gesti compiuti. Nel 1989 la pubblicazione di due suoi libri, Eravamo terroristi e Un nome che cambia: la non violenza nella società civile riaccendono il dibattito in Italia sul fenomeno del terrorismo e sulle possibilità di rinascita per quanti vi hanno contribuito. A conclusione degli esami sostenuti in carcere si laurea in Giurisprudenza con la tesi: La rieducazione del condannato e l’efficacia civile del perdono. Comincia a lavorare col gruppo Exodus nell’ambito delle tossicodipendenze. Nel 1992 sposa Elisabetta, impegnata nella formazione dei giovani a Verona, e nel 1993 sconta gli ultimi sei mesi di carcere in seguito al passaggio in giudicato della condanna a 15 anni. In ogni momento una vita può liberarsi dal passato diventando progetto… – scrive Cavallina a conclusione del suo racconto -. Ho provato a lungo tutto il dolore e l’inutilità di essere guardato come quello che non ero più, di sentire negata l’identità che faticosamente ricostruivo. Ma accanto a questo ho trovato speranza, riconoscimento e aiuto in testimoni efficaci.