La (piccola) speranza di Ginevra 2
L’apertura della seconda riunione di Ginevra indetta con grande fatica dall’Onu per trovare una qualche via di soluzione al troppo lungo e cruento conflitto siriano sembra avere qualche possibilità di successo. Mentre continuano ad essere battute dalle agenzie le notizie drammatiche dai diversi campi di battaglia, mentre le varie fazioni dell’opposizione a Bashar al-Assad si frantumano e mentre le decine di ostaggi illustri o meno illustri – ricordiamo con affetto padre Dall’Oglio – continuano a non dare segnali incoraggianti, finalmente alcune delle parti in causa si mettono attorno ad un tavolo. Ne parliamo col politologo e diplomatico Pasquale Ferrara.
Come interpretare la mezza gaffe diplomatica in cui è incappato l’Onu, che prima ha invitato al tavolo l’Iran e poi lo ha escluso?
«Il problema sta, in realtà, nei risultati di Ginevra 1: i Paesi membri del Consiglio di sicurezza dell’Onu avevano auspicato una soluzione politica al conflitto, con l’installazione di un governo di transizione che avviasse il passaggio verso una nuova repubblica siriana. In quell’occasione s’era materializzata la frattura tra il segretario di Stato Usa, Hillary Clinton, e Sergej Lavrov, il ministro degli Esteri russo. Mentre la prima sosteneva che di questo governo di transizione non avrebbe dovuto far parte il presidente siriano, il capo della diplomazia di Mosca era dell’idea esattamente contraria. Il malinteso era evidente già allora».
A quella prima assemblea per la Siria era assente l’Iran…
«Era assente, perché considerato alleato di ferro del presidente Assad. Ebbene, Ban Ki-moon ha invitato l’Iran a Ginevra 2, ma la risposta di Teheran è stata chiarissima: non veniamo se permane la pre-condizione dell’esclusione di Assad e della sua fazione dalla transizione. Il segretario generale dell’Onu ha perciò dovuto fare marcia indietro, visto che avrebbe in questo modo perso la partecipazione a Ginevra 2 della principale componente dell’opposizione siriana, quella Coalizione nazionale siriana che, tra l’altro, aveva già lasciato per strada un cospicuo pezzo, il Consiglio nazionale siriano, che vede l’Iran come il fumo negli occhi».
Che cosa ci si può aspettare allora da un’assemblea mutilata come Ginevra 2?
«Innanzitutto è già una notizia che la riunione abbia luogo, non dimentichiamolo. In secondo luogo non sono tanto importanti le assenze attuali: è importante che, attorno al documento che ne uscirà, possano essere coinvolti i due principali attori regionali, Iran e Arabia Saudita senza i quali nulla potrà essere fatto in Siria. Perché il conflitto ha messo in competizione interessi ben più ampi di quelli legati al territorio siriano, interessi che toccano le due principali potenze regionali. Quindi c’è da sperare che Ginevra 2 riesca a non chiudere le porte a Teheran e Riad».
Usa e Russia hanno interesse a trovare un accordo?
«Per motivi direi quasi opposti le due grandi potenze mondiali hanno tutto l’interesse a trovare una via d’uscita al conflitto siriano. Gli Usa perché Obama ha preso il rischio di non intervenire, resistendo a enormi pressioni interne ed esterne, sperando in una soluzione diplomatica; la Russia perché l’essersi appuntati sulla giacca la medaglia al merito per aver impedito la deflagrazione del conflitto – si cominciano effettivamente a smantellare gli arsenali chimici di Assad – deve ora trovare una soluzione duratura. Per la Russia è difficile continuare a sostenere il presidente siriano attuale senza trovarla, questa via d’uscita. Quindi il perdurare dello status quo danneggerebbe sia Russia che Stati Uniti».
Speranza moderata per Ginevra 2?
«Penso che sia proprio così».