La “piaga” del traffico

Il rientro dalle vacanze è già traumatico di per sé. Le città non aiutano e il colpo di grazia lo danno le automobili.
La piaga del traffico

E dire che quest’anno avevo pure cambiato. Né lo stesso mare, né la stessa spiaggia. Ero andato addirittura in montagna, in una baita del Settecento a duemila metri di altezza, sotto il Monte Rosa. Eppure, una volta rientrato in città, nulla era cambiato, la magnifica illusione dell’estate si è dissolta in un attimo. Stesso traffico, stessa congestione, stesso trauma da rientro e gli stessi sintomi da crisi acuta di astinenza dalle vacanze come nello spot di una nota compagnia di crociere.

 

E dire che la “piaga del traffico”, come diceva uno dei protagonisti di Johnny Stecchino, «dipende proprio da noi umani, non come la siccità e i vulcani che sono cause naturali», dipende proprio da come ci siamo organizzati, da come è evoluta la nostra storia, dagli stili di vita che ci siamo imposti.

 

Ad inizio Novecento Margherita di Savoia percorreva le strade di Gressoney, in Valle d’Aosta, con uno dei primi prototipi di una macchina che aveva i cerchi delle gomme in legno ed un’autonomia limitata. Viaggiava con un autista e tre meccanici perché massimo ogni 15 minuti la macchina andava in panne. Roba da regina d’Italia. Poi, però, con la filosofia del progresso e dello sviluppo tutti dovevamo avere almeno un’autovettura. Negli anni Sessanta ancora si circolava, ma oggi che è stato raggiunto un certo livello di sviluppo economico, le vie percorribili delle città sono costantemente congestionate con conseguenze sulla mobilità, sui consumi, sull’inquinamento e sulla vita stessa.

Ogni anno muoiono, solo in Italia, più di cinquemila persone, e centinaia di migliaia sono i feriti con danni irreversibili e costi sociali altissimi. È la contraddizione di fondo di un settore, quello dei trasporti, che crea sviluppo economico e genera più del 10 per cento del Pil dell’Unione europea, ma determina problemi di difficile soluzione. Il traffico, poi, è attualmente l’elemento forse più identificativo della città, perché oltre il 75 per cento della popolazione europea vive in aree urbane. E rappresenta un rebus senza soluzione in tutto il mondo, indipendentemente dalla cultura e dalla politica urbanistica, per il semplice fatto che le città sono state costruite molto tempo prima degli autoveicoli. E, più cresce lo sviluppo economico delle città, più c’è domanda di mobilità, senza che ci siano le infrastrutture necessarie.

 

Eppure in Italia, contrariamente a quello che si pensa, molto è stato fatto e si sono raggiunti livelli di eccellenza nell’uso della tecnologia applicata alla mobilità. Il fiore all’occhiello è sicuramente il sistema “tutor”, applicabile solo in autostrade o tangenziali cittadine, che, appena sei mesi dopo la messa in funzione, ha permesso una riduzione del 50 per cento del numero dei morti (dati della Polstrada). Il sistema tutor, in tratti di 10-25 chilometri, misura la velocità media in base ai tempi di percorrenza, ed è un sistema di sanzionamento che punisce non l’estemporaneo eccesso di velocità, ma il comportamento scorretto su una tratta. L’effetto è che il flusso è diventato regolare, ad una velocità prossima a quella consentita, senza sorpassi pericolosi, con meno consumi di carburante e produzione di anidride carbonica. È, insomma, un sistema preventivo che mira a creare un deterrente contro gli automobilisti indisciplinati. Il 60 per cento degli incidenti mortali, infatti, è causato dall’elevata velocità. Potrebbe funzionare meglio anche in città e diversi comuni (Roma, Torino, Cesena) lo stanno sperimentando su strade ordinarie. Ha già debuttato, da febbraio, sulla tangenziale di Napoli con ottimi risultati.

Quest’anno, inoltre, si è celebrato il decennale di Tts Italia, l’associazione nazionale della telematica per i trasporti e la sicurezza, che riunisce oltre 70 aziende sparse nel Belpaese in un settore in espansione nonostante la crisi economica. I progetti più avanzati avvengono nelle grandi città che hanno possibilità di investimenti maggiori: l’Atac mobile a Roma, il 5T a Torino, l’infotraffic di Milano. Tra i servizi più innovativi troviamo i semafori intelligenti che non segnano il verde e rosso a durata fissa, ma a seconda dell’effettiva presenza di veicoli e pedoni. Ogni singolo semaforo, inoltre, è il “nodo” di una rete di più impianti e la sua regolazione dipende da quella degli altri. Sui pannelli a messaggio variabile troviamo le informazioni utili alla viabilità e il sorpassometro, con un filmato, “pizzica” le infrazioni commesse. Sono solo alcune delle ottime soluzioni telematiche già operative. 

Tuttavia la soluzione del rebus della mobilità sostenibile non verrà certo solo dalla tecnologia, ma da un “sistema integrato” e dalla sinergia delle varie esperienze già mature ma ancora troppo frammentate nei mille campanili italiani.

Così come la responsabilità del cittadino e il rispetto delle regole resta insostituibile. Basti pensare che, in una grande città come Roma, parcheggiare una macchina in doppia fila blocca una corsia e il transito di 1500 veicoli l’ora e fa saltare il sistema dei semafori intelligenti, causando congestioni, anche intestinali. Questione di educazione, non solo stradale!

 

Futuro prossimo

 

Emilio Cera è il responsabile del comitato scientifico di Tts Italia.

 

Quali sono le sfide del futuro?

«Oggi abbiamo il navigatore, il sistema satellitare per rintracciare il veicolo. Il futuro è la macchina intelligente in grado di comunicare con la strada ed i semafori con cui scambia delle informazioni».

 

E per le previsioni del traffico?

«Non potremo mai dire con certezza che una strada sarà congestionata. Mettendo dei sensori sulle strade e sulle macchine possiamo, però, sapere i tempi di percorrenza».

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