La peste e la speranza
È scomparso pochi giorni fa, a 90 anni, l’attore svedese Max von Sydow, interprete prediletto del regista Ingmar Bergman e di decine di film di alto e medio livello, oltre che di fiction (ne Il trono di spade era il corvo con tre occhi). Vale la pena rivederlo in un lavoro che appare di stretta attualità, ossia Il settimo sigillo (1957). Un bianco-e-nero poetico e simbolico, ambientato nel Medioevo. Il cavaliere Antonius ritorna dalle Crociate stanco nel corpo e nell’animo: ha perso la fede. Gli si presenta davanti una figura alta, dalla faccia pallida, avvolta in un ampio mantello nero: la Morte. È venuta a reclamare la sua anima. Ma Antonius non è pronto, non vuole, allora la Morte lo invita ad una partita a scacchi: se vincerà terrà la cosa più preziosa che possiede, la vita.
Intorno, c’è l’Europa sconvolta dalla peste, dalla guerra, dalla violenza e dall’egoismo. C’è una compagnia di saltimbanchi però che è semplice, gioiosa, ama la vita. La Morte pone gli occhi su questa, decisa a prendersela. Antonius osserva la serenità della famiglia, riprende speranza nella vita e si sacrificherà per salvarla, sconfiggendo la Morte.
Ricco di citazioni artistiche – Durer, i Trionfi della Morte… – interpretato da von Sydow con il suo tipico sguardo chiaro e tagliente, il film affronta i temi cari al regista: la fede, Dio, la Morte, il futuro e la paura del male. Tematiche di sempre e oggi di stringente attualità. Se infatti nel film è la società medievale colpita dalla peste allo sbando, oggi è la nostra globalizzata a essere drammaticamente impreparata davanti al crollo di tante sicurezze. La scelta del cavaliere Antonius, la sua partita a scacchi, ha ancora oggi qualcosa da dire, e non solo a livello di grande arte.