La perversione del potere, la speranza del bene comune
La decisione della governatrice della Regione Lazio, Renata Polverini, ex sindacalista dalla parlata franca e dialettale, le è certamente stata imposta dalla gravità dei fatti contestati ai partiti dell’organismo da lei guidato. Non poteva fare altrimenti. Ma la ragione profonda della decisione sta in quanto scrive Ernesto Galli della Loggia sul Corriere: «Chi oggi inizia a far politica in Italia non ha più alcun riferimento storico-ideologico forte». Cioè, tramontati marxismo e liberalismo, pressato in un angolo privatistico il cristianesimo, cosa resta a chi fa politica? L’interesse personale, e solo quello.
Se chiedessimo ai vari D’Alema, Casini, Fini, Rutelli, Veltroni, Formigoni, Bindi, Pisanu… perché hanno iniziato a far politica (potrebbe forse essere un buono spunto per un libro), riceveremmo delle risposte un po’ nostalgiche, ma comunque intrise di riferimenti storico-ideologici forti, più “alte” di quanto ci si potrebbe aspettare. Se lo chiedessimo invece a tanti rampanti signori quarantenni della politica nostrana, riceveremmo risposte molto più variegate, più concrete forse, meno idealistiche, più “basse”: Fiorito non riesce più a negare nemmeno l’evidenza.
I partiti paiono in stato comatoso; persino le persone più “per bene” sembrano non accorgersi che il Paese ha ormai girato le spalle all’autoreferenzialità della politica (che senso ha negare la pubblicità delle spese dei gruppi parlamentari del Senato? E perché non voler approvare il disegno di legge anti-corruzione?). Le prossime elezioni rischiano di vedere un italiano su due restarsene a casa.
Ieri il cardinal Bagnasco ha strigliato ben bene i politici nostrani: «Quando – per interessi economici – sull’uomo prevale il profitto, oppure – per ricerca di consenso – prevalgono visioni utilitaristiche e distorte, le conseguenze sono nefaste e la società si sfalda». E ha aggiunto: «Che l’immoralità e il malaffare siano al centro come in periferia non è una consolazione, ma un motivo di rafforzata indignazione, che la classe politica continua a sottovalutare».
È urgente correre ai ripari. Svecchiando la politica, introducendo controlli più efficaci della Pubblica amministrazione sia a livello centrale che locale, ancorando partiti e sindacati ad una legge che li controlli adeguatamente. Ma, soprattutto, riportando il bene comune al centro dell’interesse della politica. Iniettando una buona dose di idealità nella politica, che necessita di un altruismo e di un disinteresse a prova di bomba.
Non concordo del tutto, però, con Galli Della Loggia quando dice che i giovani che oggi si mettono in politica non hanno più idealità forti. Nella recente manifestazione di LoppianoLab, promossa tra l’altro da Città Nuova, un laboratorio era dedicato ai giovani delle scuole di partecipazione promosse dal Movimento politico per l’unità. Ebbene, 500 giovani stanno imparando a fare politica in 24 scuole sparse su tutto il territorio nazionale. E in altre città si vuol far lo stesso. Bastava guardare in faccia questi giovani per vedere il fuoco che brucia dentro di loro, per il bene comune. Che riunisce non solo cattolici e non solo credenti, ma persone di buona volontà che credono nella necessità di lavorare per il bene comune. Un modello imitabile.
Ma c’è una condizione: non lanciarsi nell’agone politico da soli, pensando solo ai propri interessi particolari, o credendo di avere i numeri per riuscire a cambiare alcunché. Serve un lavoro di squadra, bisogna ancorarsi al “controllo”, o piuttosto alla “spinta” che viene da un gruppo solido, disinteressato, libero di muoversi perché libero nel cuore.