La perseveranza

L’impazienza e la frenesia che caratterizzano il nostro tempo non ci aiutano a vivere e incarnare la vocazione. Ingrediente fondamentale è la perseveranza. Ma che cos’è? La riflessione di Matteo Ferrari in Verso la terra che ti indicherò (Città Nuova, 2016).
Verso la terra che ti indicherò_Matteo Ferrari_Città Nuova

Come conclusione al termine della nostra rifles­sione sul tema della vocazione, sembra che non ci possa essere oggi parola più appropriata di “perse­veranza”. Il nostro sembra essere il tempo dell’im­pazienza. Tutto si è talmente velocizzato – i viaggi, le comunicazioni, le informazioni – che siamo diventati estremamente impazienti: occorre avere tutto e subi­to, trovare tutto immediatamente, avere risposte im­mediate. Certo, non è una situazione da demonizza­re. Ci sono infatti tante cose positive che ora si posso­no realizzare con estrema facilità, che solo pochi anni fa avrebbero richiesto tempi infiniti e forse sarebbero state impossibili da raggiungere. Tuttavia questa ve­locizzazione, che ci rende tutti impazienti, può avere degli effetti molto preoccupanti sulla nostra vita, so­prattutto negli ambiti più vitali e importanti, come le relazioni, la crescita umana e il cammino di fede. Quindi anche nell’ambito della vocazione.

 

Essere diventati impazienti, ci ha condotto anche a non essere perseveranti. Dal momento che dobbiamo avere tutto e subito, sembra che le conquiste della vita che hanno bisogno di lunghi tempi per maturare e per essere raggiunte non ci interessino più. Tuttavia tutte le scelte importanti della vita si sottraggono necessariamente alla lo­gica del tutto e subito. Sarà questa impazienza ad aver ferito la capacità di scelte stabili nella nostra esistenza?

 

Le grandi scelte della vita vivono di ripetitività. Non è solo la scelta monastica a ritmare la vita del monaco, con tempi scanditi ogni giorno in modo sempre uguale, fatti di preghiera, ascolto, lavoro e vita comune. Anche la vita di una coppia in realtà, sebbene in una modalità differente, vive del ripeter­si di quegli elementi che costituiscono l’ordinarietà della vita quotidiana, nella quale può darsi la novità autentica. Le scelte di vita non si nutrono princi­palmente dello straordinario da ricercare costante­mente, ma di quella novità discreta e silenziosa che si fa presente nelle pieghe della vita quotidiana e in esse si nasconde. […]

 

La ricerca dell’immediato che caratterizza gli uomini e le don­ne del nostro tempo, come può conciliarsi con una vita che conosce dei ritmi e che sa accogliere la sfida del quotidiano? Di fronte a questi interrogativi, il tema della pazienza o, usando forse un termine più appro­priato per la tradizione biblica e spirituale, della perseveranza, acquista oggi un’urgenza del tutto particolare. Sottolineiamo solo alcune suggestio­ni che ci vengono dalla Regola di Benedetto e dai Vangeli.

 

Benedetto nella Regola parla della pazienza o perseveranza nel quarto gradino dell’umiltà (RB, VII, 35-43):

Il quarto grado dell’umiltà si ha quando uno nella stessa obbedienza, pur ricevendo ordini gravosi e ripugnanti e ogni genere di ingiustizie, abbraccia in silenzio e di buon animo la sofferenza e nel sop­portare non si scoraggia né si ritira, perché dice la Scrittura: «Chi persevererà sino alla fine sarà sal­vato». (RB, VII, 35-36)

 

Emerge chiaramente il legame con i gradini precedenti: innanzitutto la perseveranza nasce dal timore del Signore, non inteso come paura, ma come coscienza della sua presenza. Si può vivere la perseveranza anche di fronte a ingiustizie e a gran­di difficoltà solo se si ha coscienza di stare sempre alla presenza di Dio. La perseveranza infatti si fon­da sulla speranza che nasce dal rapporto con Dio indietreggiare di fronte alle difficoltà della vita mo­nastica, anche quando si devono subire e affrontare delle ingiustizie. […]

 

Non si tratta quindi unicamente di uno sforzo eroico dell’uomo di fronte alle avversità della vita, ma di un atteggia­mento che nasce dalla relazione con un Dio affida­bile, che veglia sulla sua parola per realizzarla (cf. Ger 1, 12). […]

 

Infine, fonte della perseveranza è l’obbedien­za, cioè la capacità di ascolto, innanzitutto della Parola di Dio. È perseverante unicamente chi non è incentrato solo su di sé, ma è in ascolto di Dio e dei fratelli. Questi tre gradi che precedono la per­severanza ci mostrano come essa sia frutto di un decentramento da sé, senza il quale si può vivere solo nell’impazienza.

È interessante che la perseveranza o pazienza sia identificata da Benedetto con la capacità di non tirarsi indietro. Essa ha quindi a che fare con l’e­sperienza della prova. Nella Scrittura la prova serve per conoscere cosa si ha veramente nel cuore. […]

 

In un tempo come il nostro, così povero di per­severanza, l’annuncio del Vangelo appare partico­larmente attuale; mentre la Regola di Benedetto ci ha mostrato come nella tradizione spirituale que­sto tema fosse stato ben compreso in tutta la sua centralità. Quanto mai oggi dobbiamo imparare a “rimanere”, anche quando questo costa fatica, sa­pendo che solo così possiamo essere veri discepoli di colui che «ha perseverato» per noi fino alla croce (cf. Eb 12, 2.3). Gesù stesso infatti è il modello del­la perseveranza.

 

Da “Verso la terra che ti indicherò. La vocazione come risposta alla parola di Dio” di Matteo Ferrari, pp. 144 – € 14,00

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