La pensione, un’utopia. Dibattito sul sistema e l’età pensionabile in Europa

Le proteste in Francia contro la riforma pensionistica portano ad una riflessione sul panorama delle età pensionabili in Europa e su come evolveranno le norme in base ai cambiamenti demografici degli ultimi decenni
Pensioni
Manifesti contro il pensionamento all'età di 64 anni, martedì 7 marzo 2023 a Parigi, durante la nuova ondata di manifestazioni e sciopero in tutta la Francia contro il piano del governo di aumentare l'età pensionabile a 64 anni, in quella che i sindacati sperano di essere la loro più grande dimostrazione di forza contro la proposta. (Foto AP/Christophe Ena)

Le grosse proteste in Francia (l’ultima martedì scorso) contro il progetto di posporre l’età pensionabile ai 64 anni nel 2030 apre una finestra verso il panorama delle pensioni in Europa, e se si vuole nel mondo. E non solo, ha già aperto un dibattito sul fatto stesso di andare in pensione in un contesto sociale, quello europeo, dove ogni anno cresce la popolazione anziana e diminuisce quella ancora in grado di contribuire al sostegno di chi non può più lavorare.

Oggi in Francia, Svezia e Norvegia donne e uomini possono pensionarsi a partire dai 62 anni. Solo in tre Paesi (Austria, Polonia e Romania) le donne possono farlo prima. Nel resto, uomini e donne vanno in pensione in tempi che vanno dai 62 anni e 10 mesi (Slovacchia) ai 67 anni (Danimarca, Grecia, Islanda, Italia), anche se presto altri sei Paesi (Belgio, Bulgaria, Germania, Irlanda, Paesi Bassi, Spagna) raggiungeranno questa norma. E in Danimarca e Regno Unito è già previsto che sarà ai 68 anni. Questa varietà di norme, tutte con un percorso storico e sociale di fondo, suscita negli studiosi domande del tipo: sono diversi i lavoratori di ogni Paese? Hanno più possibilità di lavorare alcuni e meno altri? Sono più capaci quelli che svolgono un dato tipo di lavoro? La norma deve esse uguale per donne e uomini?, ecc.

Certo, non è adeguato fare paragoni, perché ogni Paese (ogni regione anche), ogni tipo di lavoro, ogni condizione climatica, ogni condizione sociale influisce, e alle volte determina, la possibilità e la capacità delle persone di continuare a lavorare. E poi, tra Paese e Paese, ci sono differenze da considerare: oggi un lavoratore francese deve aver versato i contributi per la pensione durante 42 anni per ottenere il 100% della pensione, mentre uno spagnolo solo 35 anni.

Le cose cambiano, e in fretta, grazie a fattori che sono ormai sul tavolo: come influirà sul mercato lavorativo la grossa natalità degli anni 60 e 70, la generazione chiamata baby boom, o quale ruolo svolgerà la massiccia migrazione di persone verso Europa?

Riguardo alla prima questione, qualche mese fa, in un congresso di esperti in economia tenutosi a Malaga, si è arrivati alla conclusione che in un futuro non lontano «lavoreremo più anni ma meno ore» dopo l’età della pensione. Il cattedratico in Economia Ignacio Conde-Ruiz lo spiega: «La cosa logica sarà uscire gradualmente dal mercato del lavoro» mediante un «regime pensionistico flessibile». Questo economista è del parere che sarà necessaria una «piena conciliazione tra lavoro e pensione», cioè, essere pensionato ma continuare a lavorare. Se si pensa che l’invecchiamento della società è la «principale sfida del secolo», aggiunge Conde-Ruiz, vuol dire che «l’aspettativa di vita aumenta, la pensione dovrà essere inferiore o si dovrà lavorare più a lungo». Dunque, se così potrebbe essere il futuro, allora sarà necessario un cambiamento nella legislazione del lavoro per consentire una progressiva disconnessione dal mercato del lavoro.

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