La pazienza del nulla

Arturo Paoli - Chiarelettere
Arturo Paoli

Personaggio scomodo Paoli, prete, seguace di De Foucauld, impegnato per i desaparecidos argentini, militante d’Azione cattolica, esiliato a più riprese, oggi eremita sulle colline lucchesi. Uno di quei personaggi che esasperano sempre i toni, cercano l’eccesso. Quello che può portare a Dio. O all’inferno. Scrive: «Non riuscivo più a vedere la fede se non come una forma di amore. La fede non mi appariva più come adesione a delle verità oggettive che mi ero sforzato di proteggere perché non fossero coperte da nubi e si mantenessero nella loro evidenza».

In questo continuo correre sul filo del rasoio, in disaccordo con la Chiesa italiana per la cosiddetta “operazione Sturzo”, manovrata dal presidente dell’Ac Luigi Gedda, don Arturo salpa con un bastimento verso l’Argentina. Nel viaggio di ritorno incontra un religioso francese, Jean Saphores, dei Piccoli fratelli di Charles de Foucauld, e nell’ottobre 1954 è accettato tra i novizi nel deserto di El Abiodh, in Algeria. Questo libretto narra proprio di quel periodo. Il deserto: «La mia vera contraddizione, in quel momento, non era tanto quella generale e generica descritta così drammaticamente da san Paolo, “Faccio quello che non vorrei”, ma consisteva nella tentazione di voltarmi indietro. Bisognava evitare l’impazienza, resistere nell’attesa di Godot, accettare fino in fondo questa prosecuzione della vacatio fidei. In fondo, continuava in me una nostalgia e non ne ero cosciente».

Risultato del periodo del deserto? Un’etica forte: «Si legga con attenzione la Storia di un’anima; vi si troverà che la tentazione più forte che ha subìto Teresa è stata quella di abbandonare la sua autenticità per indossare le virtù. La sua grandezza sta nell’aver accettato fino in fondo il martirio dell’autenticità». Il che vuol dire che dall’esperienza del nulla non emerge un “tutto etico”, ma semplicemente un “di più” della virtù. La realtà, niente meno.

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