La Passione secondo Matteo di Bach

Antonio Pappano, alla guida dell’Orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia in Roma, per la prima volta si confronta con tale immensa partitura e vi si accosta con l’animo umile, diversamente non avrebbe potuto darne una lettura tanto tenera.
Antonio Pappano

Avvicinarsi a Bach è come avvicinarsi a Dio. Non è retorica. E’ così. La Passione secondo Matteo è alta e luminosa come una cattedrale gotica dalle vetrate trapassate dalla luce. Così i cori i recitativi, le arie entro cui si dipana il racconto commosso della passione del Cristo sono altrettante tappe per un viaggio interiore, personale e collettivo, di ogni uomo dentro una vicenda che non è passato ma ci coinvolge nel presente. La spiritualità della “devotio moderna” medievale è passata attraverso la religiosità luterana di Bach riempiendosi di una versione umana, tenerissima, dei fatti evangelici.

Antonio Pappano, alla guida dell’Orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia in Roma, per la prima volta di fronte a tale immensa partitura, si dev’ essere sentito tremare. Con Bach non si scherza, non sono possibili interpretazioni troppo vaghe, Bach è preciso, coinvolgente: dà tutto ed esige tutto. E’ come chi si trova la prima volta di fronte alla Commedia dantesca o alla Sistina di Michelangelo.

La Passione è un oratorio per soli, doppia orchestra, doppio coro. Anno il 1727, la località la chiesa di san Tommaso a Lipsia, dove Bach oggi è sepolto sotto una grande e semplice lastra di marmo, sovente coperta di fiori.

Pappano si è avvicinato a lui con l’animo umile, diversamente non avrebbe potuto dare una lettura tanto tenera, struggente e incisiva del capolavoro. La soavità di alcuni recitativi del Cristo– quello dell’eucarestia – , sostenuti dai soli archi  è dolce, si alza in un arioso di contenuta solennità: Pappano sa far fare le pause giuste al canto e all’orchestra.

Il coro partecipa con una intima emotività – sono perfetti tutti, limpidissime le voci bianche che si elevano come vetrate di sola luce – sa agitarsi nei moment giusti  (memorabile la scena della cattura, agitatissima come in un Verdi, fra lampi e tuoni in orchestra) e flettersi in adorazione commossa dell’anima invocando pietà per il Salvatore. Ancora una volta sorprendente la “buona notte” conclusiva al Cristo morto, con cui termina in un sentimento di riposo dopo tanto dolore la contemplazione patetica del fedele.

Per quanto misurato, essenziale, Bach è fortemente emotivo, e il suo pathos trascorre la Passione: c’è sofferenza, ma più grande è la certezza che essa si risolve in quiete. Scarni e melodiosi  i recitativi, specie quello del grido di abbandono del Cristo, nudo e senza archi, come è nudo il grido. Pappano qui ne coglie la profondità abissale con un arco largo e triste. Ma i dettagli preziosi sono parecchi e il direttore non ne tralascia alcuno: ma è calmo e misurato nel gesto, cosa che facilita il senso architettonico, “sinfonico”, di questa partitura dove la polifonia non intralcia i solisti ma è come un tappeto sopra cui essi esprimono via via le palpitazioni dell’ascoltatore.

Grande esecuzione anche grazie allo splendido coro e al cast, fra cui brilla la limpida voce sopranile di Sally Matthews. Pubblico fortemente commosso.

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