La Passione secondo Botero
Ad alcuni Ferdinando Botero piace poco. Le figure tozze, i lineamenti decisamente latinoamericani – per non dire meticci –, la contemporaneità ripetitiva delle situazioni, i colori surreali, una certa aria infantile, non lo classificano come un artista facile.
Arriva a Roma, al Palazzo delle Esposizioni, la sua ultima rassegna dedicata alla Via Crucis. 27 dipinti e 34 disegni che l’artista ha donato al museo di Antioquia (in Colombia) in occasione dei festeggiamenti per gli ottant’anni a Medellin, sua città natale.
Diciamo subito che l’impatto è coinvolgente e che le grosse figure palpitano di sentimenti autentici in una coralità dal sapore schiettamente popolare, ma non per questo meno commovente. Si avverte una religiosità dalle radici antiche, che mescola arcaismo e contemporaneità senza stridore, come una continuità storica della fede di un popolo.
Scorrono lacrime, in primo piano quelle della Madre di Cristo, vestita da vecchia monaca; di Cristo stesso di profilo con la bocca aperta nello spasimo, versione attuale del classico Uomo dei dolori. Lo si vede di schiena piagato, in piedi dopo la flagellazione mentre un soldato in divisa da poliziotto lo percuote, stremato e insanguinato di fronte alla grossa Veronica.
Talora Botero focalizza un primissimo piano del dolore: una mano che conficca un chiodo sulla mano del crocifisso, facendone spruzzare il sangue, o il pianto disperato di Maria nel buio della tomba davanti al cadavere del figlio.
Botero conosce la grande arte del passato, ed ecco la Cattura cupa che ricorda l’affresco di Giotto a Padova, l’Ecce Homo altissimo sulla città dai mattoni rossi che si rifà a Guido Reni. Ma soprattutto commuove e comunica un senso di solitudine estrema Antioquia, molto contemporanea – la tela di Gesù e la moltitudine. Solo, incoronato di spine, giganteggia entro un coro di volti agitati, indifferenti, ghignanti – ricorda l’analogo tema di Hieronymus Bosch, come se l’artista dicesse quanto è solo anche oggi il Messia fra la comunità umana, che gli è ostile.
Non si possono osservare queste tele e i disegni senza provare una condivisone autentica col dolore della Passione. Fino al Cristo crocifisso, morto, verde come un corpo che si sta corrompendo (si pensa a Grunewald), sullo sfondo di una metropoli che egli sovrasta col suo peso, ma che è il peso del dolore. Questo volto altissimo sul prato dove passeggia la gente e sopra i grattacieli spira una serenità quieta. È come se dopo la sofferenza e il sangue la morte fosse apportatrice di una pace totale.
In questo Cristo che sta sopra la via quotidiana indifferente, forse il pittore vede una consolazione e una vicinanza alla passione dell’uomo innocente e indifeso del nostro tempo. Per questo motivo la rassegna è da non perdere.
Fino al 1/5 (catalogo Silvana Editoriale)