La passione per l’ambiente
Come governerà il ministero?
L’Ambiente si governa con l’unità, appartiene al Paese non a un partito. È una cosa seria, centrale e appartiene a tutti. Non c’è maggioranza od opposizione nella salvaguardia delle nostre terre. D’altra parte contano le persone, il confronto e la dialettica schiariscono le idee.
La sua prima campagna di sensibilizzazione è per rimuovere l’uso della plastica…
In estate si va in spiaggia o in montagna. Invito ogni italiano, ogni persona che si trova nel nostro bellissimo Paese, a raccogliere un rifiuto di plastica che qualche scellerato ha gettato, lo metta nella differenziata e ripuliamo il mondo assieme. Proviamoci fino in fondo, perché 60 milioni di italiani sono 60 milioni di rifiuti di plastica in meno. E le istituzioni devono dare il buon esempio per cui ho chiesto, simpaticamente, a tutti i ministeri di rendere i loro edifici pubblici liberi dalla plastica. Stessa proposta lanciata al Consiglio Ambiente dell’Unione europea.
Perché lei ha scelto di fare questo mestiere?
Ai miei tempi – consideri che ho 59 anni – chi entrava nel Corpo forestale dello Stato lo faceva solo per passione. Dal generale all’appuntato questa era l’unica motivazione. Mi sono laureato in Scienze agrarie, la sede è nel Palazzo Reale di Portici, perché allora non esisteva la laurea in Scienze dell’Ambiente, la facoltà a me intellettualmente più vicina. Poi ho conseguito un Master in Diritto dell’Ambiente a Roma. Ho, insomma, solo assecondato una passione. Poi è chiaro che intercettare i bisogni dei cittadini ti fa virare in una direzione o in un’altra. Tutta la mia carriera si è svolta tra Campania, Basilicata, Lazio, stando sempre al territorio, non dietro a una scrivania. Mi sono calato fino a 20 metri sotto terra per indagare sulle discariche illegali di rifiuti.
Quando laici o sacerdoti, come Enzo Tosti, don Maurizio Patriciello la interpellano, come reagisce?
Quando mi dicono: «Possiamo fare qualcosa insieme?», come faccio a dire di no a gente che ha la mia stessa passione per la propria terra? Mi dedico giorno e notte, ma sempre con stile istituzionale, dove il bene collettivo viene sempre prima del bene individuale. Nella Terra dei fuochi abbiamo lavorato anche per 16 ore consecutive, tutti i giorni, per anni. Nella mia squadra ci sono padri di famiglia che non hanno visto moglie e figli per giorni perché tutti percepivano l’urgenza di trovare delle risposte alle nostre indagini. Nessuno si è mai lamentato anche se, alle 3 di notte, ci si addormentava sui sedili della macchina. Questi sono i veri eroi, gli eroi del quotidiano. Gente che non fa cose eccezionali, ma il proprio dovere fino in fondo. A essere vincente è sempre il gioco di squadra. Si origina dalla passione ed è stimolato dai bisogni dei cittadini perché chi serve lo Stato, a volte, non si accorge delle necessità. L’impegno civile, i comitati locali, gruppi spontanei ti risvegliano la passione che non può infiammarsi leggendo un libro o un articolo su Internet. Solo così ti immedesimi, ti rendi conto che quella terra è la tua terra. Le dico ancora di più. I collaboratori di giustizia, i criminali, quando li interrogavo, mi dicevano: «Grazie per quello che sta facendo». «Come grazie? – rispondevo -. Ma siete voi che avete inquinato il territorio?». «Sì, ma noi non ci rendevamo conto fino a che punto. Lo facevamo per soldi. Non avevamo capito che stavamo facendo del male anche ai nostri figli». «Non so se vi posso credere, ma prendo atto del vostro ringraziamento». E siamo andati avanti nella nostra lotta.
Lei è spesso indicato come il primo che ha scoperto i danni ambientali della Terra dei fuochi. Com’è andata esattamente?
Devo dire onestamente che non è vero. La Terra dei fuochi, intendendo l’illecita gestione dei rifiuti nel territorio tra Napoli e Caserta, ha una storia antica. Risale agli inizi degli anni ’70, quando non esisteva il concetto di tutela del territorio e dell’ambiente. Io ho avuto il piccolo merito di aver individuato un nuovo metodo investigativo per aggredire il sistema dello smaltimento illecito dei rifiuti in modo tecnico, scientifico e giuridico. Un sistema di cui non si trovava il bandolo della matassa. Si immaginava ma non si trovavano le discariche seppellite, quelle più odiose perché le più subdole. Oppure si sapeva, ma non si riusciva a comprendere chi le gestiva e come operava. Con la mia squadra investigativa del Corpo forestale, prima, e dei Carabinieri, dopo, siamo riusciti a collegare indagini tecnico scientifiche che avessero anche una sostenibilità giuridica. Metodo che è stato ritenuto valido da varie procure della Repubblica, che ha retto fino alle sentenze in Cassazione ed oggi è patrimonio nazionale. Il mio è un merito mediocre, lo dico senza falsa modestia, perché non ho fatto altro che servire lo Stato. Ed è un piccolo merito rispetto a persone come il sostituto commissario della Polizia di Stato Roberto Mancini e al tenente dei Vigili urbani di Acerra, Michele Liguori, che ci hanno rimesso la vita per indagare sullo sversamento illegale di rifiuti speciali e tossici nella Terra dei fuochi.
Nel 2017 è stato abolito il Corpo forestale che è stato accorpato nei Carabinieri, non le sembra che da un lato si introduca la legge 68/2015 sugli ecoreati per far pagare chi inquina e dall’altro può venire meno il controllo del territorio?
Sono abituato a parlare sempre con la massima schiettezza e a dire quello che penso. Considero il legislatore come una sorta di sacrario. Un luogo dove si forma la legge, il pensiero politico e legislativo. Per cui rispetto fino in fondo la scelta fatta. La preoccupazione era se, con il decreto legislativo 177 del 2016 che ha portato all’assorbimento del Corpo forestale nei Carabinieri, si potesse continuare a fare lo stesso lavoro di prima o se si fossero perse delle risorse. In realtà, il Corpo forestale è rimasto una specializzazione dell’Arma dei Carabinieri. Ho continuato a fare lo stesso lavoro che facevo prima. È chiaro che in un qualsiasi passaggio di famiglia c’è bisogno di ambientamento. Non è solo l’uniforme, da grigia a nera, che cambia. Muta il meccanismo organizzativo. Deve riassestarsi. E per farlo c’è bisogno di un tempo tecnico. In quasi 200 anni di storia – il Corpo forestale era nato nel 1822 – si sono stratificati, soprattutto nelle generazione più anziane, una serie di comportamenti che non hanno uno stile dell’Arma dei Carabinieri. Stiamo imparando a farlo, perché quello che conta è il bene-Paese.
Qual è la sua percezione della situazione oggi della Terra dei fuochi?
Il fenomeno nasce negli anni ’70 per poi decollare criminalmente negli anni ’80 e ’90. Da quando abbiamo aggredito vigorosamente la Terra dei fuochi, la parabola criminale è discendente. Non vuol dire che la situazione sia risolta, ma è migliorata. Dal 2013, in 5 anni, dal primo scavo a Caivano, abbiamo colmato un gap di 45 anni. Una velocità supersonica per i tempi della pubblica amministrazione.
Lei spesso ripete la metafora: «Prima eravamo a mezzanotte, ora siamo alle 4 del mattino, prima dell’aurora».
Prima la situazione era incontrollabile. La risposta dei cittadini e dello Stato è stata evidente e quindi comincia ad intravedersi l’albedo. Sono stati raggiunti risultati tecnici, politici e sociali in un territorio, vasto mille km quadrati, che interessa 90 Comuni, con 3 milioni e mezzo di persone. Vuol dire più abitanti di Molise, Basilicata, Abruzzo e Umbria sommati assieme. Prima le discariche erano supposte. Ora sono state individuate e mostrate all’opinione pubblica. La dinamica tecnico-criminale: costituzione delle discariche, accumulo dei rifiuti, dargli fuoco, è stata chiarita. Oggi sappiamo di che rifiuti parliamo: la generica spazzatura che tutti noi produciamo e i rifiuti speciali e pericolosi frutto delle industrie. Si è anche capito che più del 90% di questi rifiuti provengono da attività illecite di produzioni aziendali perché lavorano in nero. Con il sistema delle giacenze, producono in nero, vendono in nero, smaltiscono in nero. C’è stata una presa di coscienza civile e politica che ha portato alla legge 6/2014 sulla Terra dei fuochi che prevede anche le indagini tecniche per la mappatura.
A che punto sono i monitoraggi sul territorio?
Bisogna dire che mai nella storia della Repubblica era stata fatta un’operazione del genere perché riguarda un territorio molto vasto. Vuol dire andare a monitorare e verificare quali terreni agricoli sono sani e quali inquinati. Siamo andati ad esaminare metro per metro, esclusi i terreni edificabili che non vengono monitorati. Un consorzio di specialisti, oltre i Carabinieri Forestali, la Regione Campania, l’ISS, la Gea, l’Ispra, l’Arpac, varie università esaminano e valutano i risultati dei campionamenti del terreno per vedere se sono inquinati in che modo e in che termini. Quando risultano non sani, si inibisce la coltivazione a fini agricoli. Più della metà dei monitoraggi di tutti i terreni della Terra dei fuochi è già stata effettuata. Molti passi in avanti sono stati fatti anche se il lavoro non è stato ancora ultimato.
Quali sono le priorità?
Finire il monitoraggio. I roghi nella Terra dei fuochi sono diminuiti ma vogliamo che non ce ne siano più. Il nuovo salto in avanti riguarda lo smaltimento e la rimozione di 6 milioni di ecoballe che giacciono sul territorio da 17 anni, un tempo enorme. Un’altra priorità sono le bonifiche che richiederanno decine di anni per far sì che un luogo, messo in sicurezza, non sia più insalubre per il cittadino, per gli animali, per il territorio. Vuol dire anche formulare delle leggi che velocizzino le procedure di bonifica, non nel senso di attribuire più velocemente gli appalti, ma la vera sfida di oggi è trovare dei canali di intervento sostenuti economicamente e accreditati dal punto di vista legislativo.