La passione educativa di Pino Arpioni

Laicità intransigente e fedeltà alla Chiesa. La feconda intuizione, durante la prigionia in Germania, di una proposta formativa integrale che continua a coinvolgere migliaia di giovani da Firenze e da ogni parte del mondo. Alla scoperta di Pino Arpioni a 100 anni dalla sua nascita
Pino Arpioni foto Opera Gioventù La Pira

«Questo è il pensiero che sempre mi fa riferimento per la mente ora che sono militare: aiutare la gioventù. Aiutarla, ma aiutarla veramente e non illuderla».

Giuseppe Arpioni, da tutti conosciuto come Pino, ha solo 20 anni quando il 3 settembre 1944, in una notte insonne nell’infermeria del campo militare di Rottweil, cittadina della Germania meridionale, annota cosa farà se riuscirà a tornare a casa.

Pensa che sia necessario «Fare un ripulisti all’Azione Cattolica» e che «solo i degni e bravi giovani devono rimanere» per «non fare come la Gil (gioventù italiana littoria) che serviva solamente a montargli la testa». Anche se aveva già esperienza di guida agli aspiranti Giac (Gioventù italiana di Azione Cattolica) della sua parrocchia, è la tragedia della guerra e della prigionia che matura in lui la vocazione di dedicare la propria vita ai giovani.

LA GUERRA

Ultimo di quattro figli, Pino era nato ad Empoli il 19 marzo del 1924, festa di San Giuseppe. Il padre, Tito, ammalatosi di tubercolosi nella Grande Guerra, non aveva fatto neanche in tempo a conoscerlo, perché era morto nel 1925. La mamma Caterina, con grandi sacrifici, lo aveva fatto studiare. Frequentava a Pisa l’ultimo anno dell’Istituto tecnico industriale, con specializzazione aeronautica, quando nel giugno del 1943 ricevette la cartolina per l’arruolamento anticipato.

Il giorno dell’armistizio dell’8 settembre era fortunatamente a casa, forse per una licenza o perché riformato. Ma il bando Graziani, nel marzo del 1944, lo aveva riportato inaspettatamente sotto le armi in una caserma a Sacile.

Ai primi di agosto la partenza per la Germania, con tappa a Rottweil per l’addestramento come radio localizzatore. Poi il viaggio estenuante su un treno piombato verso il Baltico, nella zona di Kaliningrad.

Con un piccolo gruppo di italiani, sotto il comando di un maresciallo tedesco, è costretto ad un duro lavoro nello scavare trincee, risistemare strade, riparare linee elettriche o telefoniche.

Poi, sotto l’avanzata dell’esercito russo, a gennaio del ’45, viene spostato sull’altro fronte, in Lussemburgo.

Il lunedì di Pasqua del 1945 riesce a fuggire alla sorveglianza tedesca assieme ad altri amici italiani. Si mettono in cerca degli alleati. Solo dopo alcuni giorni di grande incertezza e angoscia riescono a raggiungere un campo per italiani a Münster.

Finalmente, a fine agosto 1945, il rientro in Italia. A Empoli la famiglia e i suoi ragazzi della Giac fanno festa: ormai lo avevano dato per morto.

Il parroco, al quale rivela la sua volontà di farsi prete, gli consiglia di aspettare e nel frattempo gli affida i giovani della Giac. Forse ha intravisto in lui il laico educatore, piuttosto che il sacerdote.

LA SFIDA EDUCATICA

Pino, che nel frattempo si diploma perito aeronautico, si dedica tutto a questa attività con i giovani. Inizia ad utilizzare il periodo estivo per esperienze forti, portando i suoi ragazzi sulla montagna pistoiese.

Nel 1948 fa già parte della presidenza diocesana della Giac e nel marzo del 1949 riceve l’incarico regionale per la “propaganda”. A novembre di quell’anno viene nominato vice delegato regionale e a giugno 1950 anche presidente diocesano.

Per questo in autunno si trasferisce a Firenze. A fine anno ottiene l’incarico di delegato regionale della Giac. Gira incessantemente tutta la regione, soprattutto le zone più povere.

Intanto nel 1951 viene eletto consigliere comunale a Firenze. Il sindaco La Pira gli affida la direzione dei Cantieri di lavoro.

Nell’estate del 1952 lancia con coraggio un campo scuola regionale a Cavo dell’Elba. Era una novità assoluta per i tempi, perché allora il mare era considerato come non adatto a questo tipo di attività.  Al contrario Pino pensava che «se Dio lo ha fatto così bello, dobbiamo aiutare i giovani a vederne gli aspetti reali».

In autunno, alla riunione del nucleo regionale toscano della Giac, fa mettere a verbale che «il periodo che una volta passava come il dolce far niente è diventato quello più intenso di lavoro e di apostolato» e che ha un progetto ambizioso: «la costruzione di due villaggetti in muratura: uno all’Isola d’Elba, l’altro sull’Abetone».

Più che un sogno è un progetto concreto, a lungo studiato. I due villaggi erano già nati, almeno nel suo cuore. Quello a Pian degli Ontani – «Il Cimone» – aprirà nell’estate del 1954.

Quello a Castiglione della Pescaia – «La Vela» – l’anno dopo, tramontata l’idea di realizzarlo all’Isola d’Elba.

La vita di casetta, l’imparare a stare insieme da fratelli 24 ore su 24, a condividere tutto, i pasti, il gioco, la preghiera, la riflessione è il centro della sua idea educativa, ribaltando in positivo quanto di negativo aveva vissuto nella dolorosa esperienza della guerra.

In quegli anni Pino è il «fratello maggiore» di migliaia di giovani. A partire dall’autunno del 1952, infatti, ha dato vita ad un foglio periodico di collegamento che prende il nome proprio dalla località elbana: «Il Cavo».

Invia riflessioni, ricordi e invita i giovani a scrivere, a mantenere i contatti. Sono centinaia e centinaia le lettere che lo raggiungono. Per ciascuno ha una risposta, sempre personale, sempre delicata.

IMPEGNO POLITICO

Giorgio La Pira e Pino Arpioni

Nel 1956 torna in Consiglio comunale e diventa assessore al lavoro nella seconda amministrazione La Pira. Sarà forse questo suo sodalizio ormai molto stretto con il “Professore” a indurre la dirigenza nazionale a sostituirlo in ottobre, prendendo a pretesto anche le sue condizioni di salute.

La delusione per il dimissionamento è sicuramente forte. Ma non fa polemica e continua nel suo lavoro con i campi-scuola estivi. Le diocesi toscane hanno ancora fiducia in lui e gli mandano i giovani dalle parrocchie.

Il 1957 sarà comunque un anno molto difficile. Alle tante difficoltà economiche, che da sempre lo assillano e che lo accompagneranno per tutta la vita, superate solo grazie ad una fiducia incrollabile nella Provvidenza, si aggiungono due tragedie, con tre morti in 15 giorni.

La tentazione di chiudere tutto è forte. Anche perché ambienti della Curia fiorentina fanno subito pressioni in tal senso con il vescovo di Grosseto, nella cui diocesi si trova «La Vela». Ma mons. Paolo Galeazzi non si piegò: a Pino, che era andato a chiedere consiglio, disse con autorità: «Il villaggio La Vela è nella mia diocesi, ed è il vescovo che decide se continuare o no. Sono io. Guai a lei se cessa la sua attività».

Nel 1959 dà vita all’Associazione «Opera Villaggi per la Gioventù», con tre soli soci oltre a Pino. È la vesta giuridica per continuare l’attività.

Nello stesso anno apre a Firenze «Casa Gioventù», dove ospita studenti universitari toscani che non possono permettersi un alloggio in città. Dal 1960 è in via Gino Capponi, 28, dove ha tutt’ora sede l’Opera per la Gioventù «Giorgio La Pira».

Assessore al personale e ai cantieri di lavoro nella terza amministrazione La Pira (1960-1964), nel 1965 non viene ripresentato dalla Dc come tutto il gruppo lapiriano.

Il suo sodalizio con il Professore è sempre più stretto. E quando questi – nel giugno 1970 – ha bisogno di un alloggio per la chiusura della Clinica Palumbo in cui era ospitato dal dopoguerra, gli propone di andare ad abitare a Casa Gioventù.

La Pira trascorre così gli ultimi anni della sua vita in mezzo ai giovani. Sono gli anni in cui la crisi dell’Azione cattolica e delle parrocchie induce Pino a preparare in proprio i capi-gruppo per i campi estivi, iniziando un’intensa attività di formazione.

L’AMICIZIA CON LA PIRA

Da un’idea di La Pira nascono le «Tre giorni» di studio autunnali sulla storia della Chiesa, che si concludono con un grande pellegrinaggio a Roma, dal Papa e in un luogo civile significativo (l’Ara Pacis, l’Arco di Costantino, le Catacombe, il Campidoglio…) davanti al quale La Pira spiega ai giovani la «teleologia della storia»

Non è facile dire quanto abbia influito sull’attività di Pino l’amicizia con La Pira. Non vi è dubbio, però, che questo legame, molto intenso, lo ha confortato nelle sue scelte più qualificanti.

Come quella, ad esempio, di una laicità intransigente, che andava di pari passo con una fedeltà assoluta alla Chiesa.

E quando l’arcivescovo Florit lo chiamerà a coordinare i gruppi giovanili per l’Anno Santo del 1975 inizierà per lui una nuova stagione di impegni anche ecclesiali a Firenze, come direttore e poi condirettore del Consiglio pastorale, membro del direttivo e poi presidente della Consulta per l’apostolato dei laici, stretto collaboratore dei cardinali Giovanni Benelli e Silvano Piovanelli.

Gorbaciov e Pino Arpioni

In La Pira aveva trovato conferma anche all’intuizione sulla necessità di tenere sempre insieme nella formazione dei giovani l’aspetto religioso e quello sociale, perché il cristiano – come ripeteva La Pira – «deve tenere in una mano la Bibbia e nell’altra il giornale: qui c’è la sintesi della giusta formazione da dare all’uomo».

E riflettendo sul messaggio del «Professore» aveva impegnato l’Opera in una serie di esperienze ecumeniche: con la Chiesa anglicana dal 1979; con la Chiesa russo-ortodossa dal 1984; con la Chiesa greco-ortodossa dal 1986.

E poi, ancora, l’impegno di costruttore di pace e di dialogo, con i pellegrinaggi a Fatima, vissuti nell’ottica della conversione della Russia, così come promesso dalla Madonna, e quelli – a partire dal 1984 – nei luoghi della fede russa, fino ai pellegrinaggi in Terra Santa, di cui il primo si tenne proprio negli ultimi giorni della sua vita, mentre era ricoverato in ospedale.

I CAMPI INTERNAZIONALI

Da quel pellegrinaggio prese ulteriore slancio anche l’esperienza dei «Campi internazionali» a «La Vela», iniziata negli anni Ottanta con giovani anglicani, poi greco-ortodossi, quindi russi, ma che dal 2004 ha ospitato anche ebrei, cristiani e musulmani dalla Terra Santa, oltre ad africani e altri giovani europei.

Del Professore fu poi uno dei tre esecutori testamentari con Fioretta Mazzei e Antinesca Rabissi Tilli e, insieme a loro, diede vita alla Fondazione La Pira.

A oltre 20 anni dalla morte la pianta che Pino ha seminato, irrigato e coltivato con cura, mostra ancora tutta la sua vitalità. Anche la scorsa estate un migliaio i giovani hanno partecipato ai campi-scuola organizzati dall’Opera La Pira nei suoi tre centri de «La Vela», «Il Cimone» e della «Casa Alpina» in Valle d’Aosta.

Lungimirante era stata anche in questo caso la sua intuizione – quando i problemi di salute si erano fatti più insistenti – di dar vita ad un’associazione vera di laici, che pur mantenendosi molto aperta a tutte le realtà giovanili e a servizio delle Chiese locali, garantisse una continuità nell’impegno educativo.

Era strapiena di persone, soprattutto giovani, la sala dell’Istituto Innocenti, a Firenze, lo scorso 17 marzo, dove l’Opera per la Gioventù ha voluto ricordare il suo fondatore nel centenario della nascita.  Nel suo intervento commemorativo il card. Gualtiero Bassetti, che aveva conosciuto Pino fin dai tempi del seminario, ha voluto sottolineare come il tempo non possa logorare figure come queste, così trasparenti.

«Caro Pino – si è chiesto –, come facciamo a darti 100 anni? Ti vediamo ancora così giovane, col tuo sorriso dolce e al tempo stesso autorevole, con le tue parole sobrie, poche, ma così incisive».

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