La passione della conoscenza

Ero in Slovacchia allorché Chiara Lubich, nel maggio 2001, aveva incontrato nello stadio del ghiaccio stracolmo di Bratislava, la capitale di memoria astro-ungarica, una folla debordante di seimila uomini e donne. Gente che ancora sotto il comunismo avevano voluto sfidare la massificazione ideologica per una personalizzazione della storia, grazie a una coerente e talvolta eroica vita evangelica. Era stato un momento di grande intensità spirituale: lacrime, memoria, apertura. C’erano ministri e vescovi, personalità della cultura e dell’arte, un bozzetto della vivace e intraprendente società slovacca. Fu anche in seguito a quella testimonianza vibrante di attualità della fede cristiana che qualche docente dell’università di Trnava cominciò a ventilare l’ipotesi di un riconoscimento accademico a una testimone che, già all’epoca del muro, aveva voluto seminare la logica dell’amore, logica sociale per eccellenza, nei paesi dell’Est europeo. E oggi, 23 giugno 2003, il desiderio si fa realtà. Purtroppo non in Slovacchia, come avrebbe desiderato la città di Trnava, ma in Italia. Vista l’impossibilità della Lubich di recarsi sul posto, le massime autorità accademiche di quella città si sono sobbarcate il viaggio dalle rive del Danubio a quelle del Tevere, per consegnare personalmente alla laureata il riconoscimento attribuitole dal consiglio accademico, all’unanimità, con una lunga e impegnativa motivazione. Nelle pieghe della storia È una vicenda travagliata, quella vissuta dall’università di Trnava, fondata già nel 1635 dagli ancora “giovanissimi” gesuiti, che la ressero in quella città fino al 1777. Era la prima università del popolo slovacco, allora in cerca di una identità nazionale, che potesse definirsi veramente tale. Poi un editto della imperatrice Maria Teresa ne trasferì la sede a Budín. Seguì la notte del socialismo reale: il trasferimento forzato dell’università, la confisca dei beni e nel 1950 la reclusione nei cosiddetti “monasteri di liquidazione” dei principali docenti e di numerosi studenti, tanti dei quali poi incarcerati. La resurrezione dell’università è diventata realtà nel 1992, dopo decenni vissuti nella precarietà della clandestinità e dei samizdat, arrivando persino a fondare una rivista, Verbum fidei, in pieno regime comunista. Oggi l’ateneo, che è ambita università statale, conta cinque facoltà, tra le quali quella di teologia, reintegrata nella Universitas Tyrnaviensis solo sei anni fa. Una storia antica e gloriosa che, pur nel contesto ipertecnologico della sala del Centro Mariapoli di Castelgandolfo ove si svolge la solenne consegna del dottorato, si manifesta nella foggia plurisecolare dei costumi dei principali attori della cerimonia, nelle musiche medievali, nella profondità dei discorsi. E anche nella solennità delle formule immutabili nella forma e nella sostanza, per indicare l’eccellenza della cultura e la straordinaria vivacità dello spirito dell’uomo. L’università di Trnava, tra l’altro, manifesta “una singolare sintonia con il messaggio di Chiara Lubich”, come sostiene il decano della facoltà di teologia, Ladislav Csontos, perché punta alla formazione dei valori spirituali coerenti con la libertà di pensiero e di lavoro creativo. Essa difende soprattutto i valori attinti alle radici storiche del popolo slovacco, cioè i valori del cristianesimo, della cultura europea e della democrazia. La facoltà teologica – ed ecco un’altra vicinanza col messaggio della Lubich – “ha scelto come suo metodo di lavoro d’istruzione e scientifico il dialogo”. Semplicemente, la Trinità Si sa. Nelle cerimonie di questo tipo, il momento culmine si raggiunge con la lectio di chi riceve il dottorato honoris causa, in cui viene condensato il messaggio di una vita. Così accade anche in questa occasione. Come nello stile della premiata, la prima lezione del neodottore non è delle più formali, tutt’altro. È sostanziale. La Lubich presenta in effetti il suo pensiero sul legame tra la spiritualità dell’unità dei Focolari e la vita trinitaria, “per quel tanto che abbiamo potuto intuire, illuminati dal nostro carisma”. Il punto di partenza è l’intuizione che l’amore non è un semplice attributo divino tra gli altri, ma il suo stesso essere: “E perché amore, Dio è uno e trino: Padre, Figlio e Spirito Santo”. Amore che si manifesta all’uomo in modo precipuo nell’evento pasquale: “Gesù abbandonato – viene detto – è il miracolo dell’annullamento di ciò che è perché l’essere sia. Miracolo comprensibile solo da chi conosce l’amore, e sa che nell’amore “tutto” e “nulla” coincidono” Sono tre le persone della Santissima Trinità, eppure sono uno perché l’amore non è ed è nel medesimo tempo”. Perciò, “in questa spiritualità – spiega ancora Chiara Lubich – la vita della Trinità non è più vissuta soltanto nell’interiorità della singola persona, ma scorre liberamente tra le membra del mistico corpo di Cristo”. Così facendo, prosegue, si arriva “ad un profondo rinnovamento nei più diversi ambiti del vivere umano, incominciando dalla famiglia” intrecciata indissolubilmente col mistero della vita stessa di Dio, che è unità e Trinità”. Per poi passare alla politica, all’economia, alla pedagogia, alla vita ecclesiale, alla comunciazione”, perché “il comandamento nuovo della carità non è soltanto la legge fondamentale dell’umana perfezione, ma anche della trasformazione del mondo”. E tutto ciò al fine di presentare la chiesa come “un popolo adunato nell’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”. Ristabilire il colloquio La motivazione del dottorato, letta dal vicerettore Alexander Sabò, al di là delle formule di prammatica, sottolinea le principali novità portate dal carisma dell’unità, tra cui “la passione per la conoscenza affinché la verità venga fatta conoscere, e la sua luce, nella quale è racchiusa la salvezza del genere umano, possa illuminare tutta la terra”. Si auspica pure che la neo-dottore non faccia “mancare mai all’università l’autorevole soccorso della tua saggezza”. In particolare viene messa in luce la capacità della Lubich di dialogare con chiunque, lodando in particolare la lungimiranza con la quale “hai saputo molto spesso avvicinare, per ristabilire il colloquio, coloro i quali erano divenuti avversari minacciosissimi “. L’ambasciatore della Slovacchia presso la Santa Sede, signora Dagmar Babcanová, cose felicemente sintetizza la cerimonia: “Sono entrata profondamente nei pensieri di Chiara Lubich, seguendo il suo discorso oltremodo arguto. Mi ha convinto che si possa e si debba portare in questo mondo il dialogo evangelico, perché diversamente non troveremo la strada per incontrarci. Il dialogo è il futuro del mondo”. SE L’UMANITÀ NON VUOL MORIRE… Il pensiero del rettore dell’università di Trnava, prof. Peter Blaho. Bisogna riconoscere che Chiara Lubich ha un carisma necessario per il mondo di oggi. Propone un’unità che non è meccanica e senza ragionamento, ma poggiata sul Vangelo. Dopo la morte di Madre Teresa di Calcutta, è lei la persona più “carismatica” al mondo, almeno in quello femminile. La via aperta dal Movimento dei focolari dovrebbe essere intrapresa dall’umanità intera, se non vuole morire: e cioè aprirsi a tutti, dialogare con tutti, attuare il vero ecumenismo. Col termine “focolare” si intende unione, fusione e, con questo, la creazione dell’unità, dell’unità spirituale ma anche accessio, che vuol dire accesso, ingresso di altri membri, che formano una unità ancora più grande. Metaforicamente vuol dire perciò crescita, moltiplicazione. Mi dispiace certo che il conferimento di questo dottorato non abbia avuto luogo in Slovacchia. Ma forse è stato meglio così, perché abbiamo potuto costatare quanto la gente ami e ascolti Chiara Lubich. QUI SULLA TERRA La parola a mons.Tomás? Gális, vescovo di Banská Bystrica, del Consiglio scientifico dell’università di Trnava. Il dottorato conferito a Chiara Lubich è un grande avvenimento culturale per tutta la Slovacchia. E ciò perché mostra come sia possibile sperimentare la vita trinitaria già qui sulla terra. In questo XXI secolo ci impegniamo a viverla grazie alla novità della vita di comunione nell’unità, in cui ci si santifica insieme. Non avviene più come nei secoli passati, in cui si viveva una santità individuale. La novità, secondo il modello della Trinità, consiste proprio nel fatto che noi ci impegniamo a vivere il principio trinitario nelle nostre comunità, allorché cerchiamo di vivere con Gesù fra noi. E dove c’è Gesù, ci sono anche il Padre e lo Spirito Santo. Chiara Lubich ci ha mostrato che è possibile vivere così.

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons