La parola ai lettori
Pubblichiamo la risposta di un lettore all'articolo sullo strutturalismo.
Carissimo Giovanni,
leggo con grande interesse i tuoi articoli che trovo sempre stimolanti, a volte provocatori, mai banali.
Ho letto anche questo ultimo, contro lo strutturalismo, e mi sono sentito pungolato a rispondere per dirti, affettuosamente, che non sono d’accordo.
L’analisi strutturalista, in letteratura, è uno strumento che concorre, come altri, a spiegare il significato di un testo. Anzi, io ritengo che tale strumento sia, se ben applicato, utilissimo. Certo non bisogna confondere gli strumenti con il fine dell’indagine, non bisogna assolutizzarli. Ma senza strumenti l’indagine e la sua credibilità sarebbero inevitabilmente azzoppate, o quanto meno soggettivizzate.
Per esprimerlo in maniera figurata: un investigatore sarebbe poco credibile di fronte alla legge, se non disponesse degli strumenti di indagine tipici del suo mestiere (il rilevamento delle impronte digitali, l’analisi del DNA, i testimoni, gli interrogatori…), e viceversa si fidasse esclusivamente del suo intuito: sarebbe a corto di oggettività, di prove.
Fuor di metafora: la struttura di un testo è fondamentale, sia nella genesi – magari anche a livello inconsapevole – che nell’esegesi di un’opera d’arte. Si pensi alla Divina Commedia, dove la struttura concorre in modo formidabile all’espressione poetica del tutto (in questo caso Croce sbagliava distinguendo poesia e non-poesia nel capolavoro di Dante: anche il "castello" era poesia)! Del resto non c’era bisogno dello strutturalismo, bastava il buon senso, per rendersene conto. Lo strutturalismo in letteratura (penso a Genette, a Greimas ecc.) ha semplicemente fornito strumenti più o meno affidabili e rodati per evidenziare tale struttura, per effettuare la radiografia (uso la tua metafora). E in questo senso ritengo che abbia fatto un’operazione utile per la comunicazione e per la comprensione reciproca tra lettori e critici.
Naturalmente, come in medicina la radiografia è un ottimo strumento per studiare una frattura ossea e uno strumento inutile per studiare un’influenza stagionale (meglio un termometro), anche in letteratura bisogna capire quale tipo di analisi è il più adatto per enucleare il significato di un determinato testo.
L’analisi strutturalista (che io preferirei chiamare semplicemente strutturale) e quella semiotica stanno alla comprensione di un testo letterario come l’analisi grammaticale e quella logica stanno alla comprensione di una frase: sono strumenti.
Ovviamente, nella lettura di un testo non bisogna fermarsi alla struttura, bensì puntare al senso complessivo. Ma tale senso complessivo, per essere condiviso da altri, necessità di criteri di analisi condivisi: non può essere solo il frutto di una percezione personale più o meno allenata. Il critico letterario si concentrerà allora sul ruolo dei personaggi, sulla sintassi, le scelte lessicali, la fonologia, le figure retoriche, i simboli, i valori rilevabili nel testo… Anche perché altrimenti ogni critico interpreterebbe una certa opera letteraria unicamente secondo la sua sensibilità personale, più o meno sviluppata, più o meno umorale, più o meno onesta, portando (come in effetti accade nelle letture ideologiche) a risultati molto differenti tra di loro.
Se poi negli studi di molti critici strutturalisti (ma che dire dei critici di altre correnti ben più connotate ideologicamente?) non sono contemplate le fedi e i sentimenti, il problema risiede nell’occhio o nella mente di chi li esclude, non nello strumento che tengono in mano: infatti mi pare che non sia un difetto degli strutturalisti, ma della nostra società in genere.
Insomma: se la letteratura (ma non tutta) è in crisi, non è a mio avviso colpa dell’analisi strutturalista.
Ciò detto, devo ammetterlo, è capitato anche a me, durante il mio studio, di sentirmi a disagio per un’assolutizzazione dello "strumento". In quell’occasione – forse perché giustamente concentravamo l’attenzione esclusivamente dentro il testo, trascurando gli elementi extratestuali; forse per un forte distacco tra opera e autore; forse per la sensazione di mancanza di legami, di collegamenti, di coerenza, tra oggetto di studio e vita dello scrittore – ho avuto l’impressione di trovarmi sospeso su un baratro. È strano: è stata una sensazione inspiegabile. Tutto mi appariva "disgiunto", "frammentato", come le zolle di terra in un deserto: i legami tra le cose sui quali fondavo la mia visione del mondo sembravano scomparsi, sentivo sprofondare le fondamenta sulle quali avevo costruito la mia Weltanschauung.
Credo tuttavia – ma sono pronto a sentire smentite – che sia un’esperienza importante per spostare la prospettiva a un livello superiore e trovare un legame diverso tra le cose, che trascende il contingente di una realtà che ci sta di fronte in un determinato momento. Ora – è strano – è come se in me ci fosse la percezione delle tre esperienze (che forse solo apparentemente si escludono a vicenda): i legami tra le cose, l’assenza di legami tra le cose e la presenza di un legame di tutte le cose su un piano diverso.
Sento che mi esprimo male e che non riesco a mettere a fuoco ciò che solo intuisco, e mi scuso. Ma forse tu mi capisci lo stesso.
Un saluto affettuoso!
Andrea Paganini