La Palma di Tim Burton
Il mercato innanzitutto, poi il cinema. Vince la Thailandia.
L’Arte Cinematografica, con le iniziali maiuscole, è rimasta (almeno formalmente) prerogativa della Mostra di Venezia. Quello di Cannes è un festival e come tale può concedere tutto lo spazio che crede al mercato. In effetti lo è stato per la 63a edizione, con un colossal in apertura (Robin Hood di Ridley Scott) e un altro in chiusura (Sole ingannatore 2 di Nikita Mikhalkov). Tanto per rispettare i giusti equilibri fra Oriente e Occidente, fra cultura e quattrini.
A trionfare è stato il thailandese Lung Boonmee raluek chat (Zio Boonmee che si ricorda delle sue vite precedenti) di Apcihatpong Weerasthakul, storia di un vecchio condannato da una malattia renale che decide di andare a morire nel villaggio natio dove incontrerà il fantasma della moglie. Una Palma d’oro dove non è difficile scorgere lo zampino di Tim Burton, presidente della giuria, per le atmosfere fantastiche che proiettano la vicenda in una dimensione onirica. Ma sullo sfondo si agita la crisi politica che ha investito il Paese del Sud-est asiatico.
Il dramma del mondo reale si riaffaccia negli altri premi con le tensioni politiche, religiose e sociali che nel continente africano sembrano trovare lo scenario più indicato. Ecco il Gran Premio della giuria a Des hommes et des Dieux di Xavier Beauvois in cui si ricostruisce l’eccidio compiuto da integralisti islamici in Algeria contro una comunità di trappisti.
Ancora lutti nella guerra civile del Ciad per Un homme qui crie di Mahamat Saleh Haroun, Premio della giuria: un ex campione di nuoto fa il guardiano nella piscina di un albergo comprato dai cinesi. Metafora della globalizzazione: invece di risolvere problemi sembra accentuarli.
La partecipazione italiana (La nostra vita di Daniele Luchetti) è stata coronata dal Premio per il miglior attore ad Elio Germano, ex-aequo con Javier Bardem, protagonista di Biutiful di Alejandro Gonzales Inarritu.
Più che meritato il Premio per la miglior attrice a Juliette Binoche per Copia conforme di Abbas Kiarostami, dove il legame fra la realtà e i suoi tentativi di imitazione chiude il cerchio di un gioco che nel film premiato con la Palma d’oro ha trovato la sua celebrazione. A ricordarci che il cinema è prima di tutto illusione.