La pacifica ribellione di Lizzano

Una discarica fuori norma vicino Taranto. L'impegno per risolvere il problema ambientale, vincendo il timore. I risultati concreti, le delusioni, il conforto e il sostegno dell'enciclica del papa. Intervista a Franco Barbati e Maria Schirano di “Attiva Lizzano”
Attiva Lizzano

Tra i tanti interventi previsti nel seminario del 3 febbraio promosso dal Movimento politico per l’unità su Ecologia integrale e politica, oltre ai parlamentari direttamente interpellati per le scelte urgenti che sono chiamati a compiere su tante emergenze ambientali in Italia, interverranno alcuni rappresentati di quel pezzo di società civile capace di andare oltre l’indignazione. Emblematica la storia che arriva da Lizzano, un paese di 10 mila abitanti in provincia di Taranto.

 

La vicenda dell’enorme stabilimento siderurgico eretto a ridosso della Città dei due mari rischia di assegnare al limitrofo centro agricolo di Lizzano un ruolo secondario, eppure rappresenta il caso significativo di una provincia descritta da alcuni organi di stampa come “la pattumiera d’Italia” per il numero eccessivo di discariche presenti sul territorio.

 

Ne parliamo con Maria Schirano e Franco Barbati, moglie e marito, che vivono l’impegno a favore della “casa comune” in questa parte d’Italia dove, a due chilometri dal centro abitato, qualcuno ha deciso di aprire una discarica che raccoglie rifiuti per oltre due milioni di metri cubi. È un fatto che non si può ignorare. Dal sito proviene, infatti, un odore intenso e sgradevole avvertito anche dagli abitanti dei paesi confinanti nel raggio di una decina di chilometri. Che fare? La difficoltà nell’organizzare una reazione è simile a tanti altri casi diffusi in diversi comuni. Come raccontano Maria e Franco, «tutti ne parlavano e si lamentavano, eppure nessuno prendeva in mano la questione: era una patata bollente molto pericolosa, fino a quando qualcosa è cambiato».

 

Cosa è successo in concreto?

«Tutto è nato semplicemente perché alcuni giovani hanno cominciato ad incontrarsi, a chiedersi  cosa fare e così, nel maggio del 2010, è nata l’associazione “Attiva Lizzano” alla quale abbiamo aderito mettendoci subito a disposizione».

 

Cosa avete capito della situazione?

«Prima di tutto che sull’intera provincia tarantina insistono tre discariche per rifiuti speciali che raggiungono la capienza di oltre 8 milioni di metri cubi, una volumetria pari quasi a 11 volte quella della Lombardia con la conseguenza che il nostro territorio sembra destinato a fare da deposito di rifiuti proveniente da diverse zone del Paese».

 

E la “puzza”?

«È qualcosa che avvertiamo fin dalla mattina, tanto che ne parliamo tra noi come fosse una cosa viva con cui dobbiamo confrontarci ogni giorno. Proviene dal concentrato di acido solfidrico, un gas incolore e dannoso che, oltre a causare seri disturbi fisici, induce uno stato psicologico depressivo che sta allontanando alcuni residenti dal nostro Paese. Ci risulta che, secondo alcuni studi epidemiologici effettuati a livello regionale e provinciale, Lizzano si attesti ai primissimi posti per le patologie tumorali e in particolare per quelle polmonari, senza scordare il primato nelle patologie dell’apparato respiratorio dei bambini».

 

Come si è mossa l’associazione?

«Abbiamo messo assieme le diverse forze e deciso di organizzare incontri itineranti nei quartieri del paese per sensibilizzare i nostri concittadini e invitarli a uscire dalle loro case e vincere la paura. Ci siamo attaccati al telefono per segnalare il forte disagio ai vigili del fuoco e all’Arpa-Puglia. Abbiamo capito che l’unica nostra forza era la ribellione collettiva, pacifica, ma determinata. Alla fine ci siamo decisi ad appendere sulle facciate delle nostre case delle lenzuola con la scritta: “No alla puzza! Respiriamo veleni”. Quando abbiamo messo anche il nostro lenzuolo abbiamo sentito un grande senso di libertà».<

Come affrontate il vostro impegno? «Lavorare per la nostra associazione vuol dire superare continuamente la “paura”. Non ė facile  esporsi nelle varie assemblee pubbliche, dare volantini, Bisogna sempre ricordarsi di agire per il bene comune pagando di persona. Il timore esiste sempre, insomma, ma non ci ha bloccato. Così abbiamo promosso una grande manifestazione pubblica con migliaia di persone arrivate anche dalle associazioni presenti nei centri a noi vicini. A questa manifestazione ne sono seguite altre sempre con l’obiettivo di tenere viva l’attenzione, mentre  abbiamo cominciato il confronto con le istituzioni essendo convinti che la soluzione del problema fosse soprattutto di natura politica».

 

Che risposta dalla “politica”?

«In seguito alle nostre mobilitazioni sono stati convocati vari consigli comunali e  provinciali monotematici nei quali abbiamo sostenuto  le nostre ragioni e mostrato l’indignazione per un diritto alla salute calpestato. Un gruppo di mamme si è recato in Regione portando all’ex governatore Vendola le lettere del nostri bambini. E poi l’incontro con il prefetto. Si sono aperti tanti tavoli tecnici e abbiamo ricevuto tante, troppe, promesse».

 

Come si sostiene nel tempo un impegno così intenso?

«Innanzitutto abbiamo sentito l’esigenza di fare formazione alla cittadinanza attiva e alla legalità. Approfondimenti scientifici come il convegno organizzato grazie ai medici per l’ambiente (Isde) per evidenziare il nesso tra patologie e vicinanza alle discariche. Con un finanziamento pubblico, abbiamo  realizzato  un percorso di formazione alla genitorialità che ha avuto un taglio ecologista e dal quale è scaturito uno spazio di “Scambio solidale” per il riuso di vestiario per bambini e ragazzi, di giochi, cullette, passeggini, ecc, Insomma il legame sperimentato tra noi ha generato tanti altri effetti di costruzione della comunità in un contesto naturalistico pieno di ricchezze, a cominciare dagli uliveti e dal mare a noi così vicino. Altrettanto grande è stato l’impegno di far recepire alle istituzioni e alla popolazione l’importanza della raccolta differenziata cominciando da azioni di bonifiche collettive su alcune zone degradate a piccole discariche tollerate. Abbiamo raccolto camion interi di rifiuti ridando dignità alla nostra terra».

 

Ma avete ottenuto qualche risultato concreto?

«La discarica è stata sequestrata preventivamente nel 2014 perché, come dice l’ordinanza del giudice “l’impianto non è conforme all’autorizzazione ricevuta in sede regionale poiché difetta di quella piattaforma di inertizzazione dei fanghi la cui assenza riveste una sicura influenza sull’impatto ambientale”. Un primo risultato ottenuto grazie a 800 distinti esposti alla magistratura firmati da altrettanti cittadini. L’associazione aveva chiesto, da parte sua, in base ai dati dell’agenzia regionale per l’ambiente, l’intervento del Nucleo operativo ecologico (Noe) dei carabinieri di Lecce. E’ difficile descrivere l’emozione di quel momento. Finalmente si era realizzato quello per cui avevamo lottato e pagato ed era anche la risposta agli scettici, a quanti cioè avevano sostenuto che non avremmo mai raggiunto un tale risultato.

 

Tutto risolto?

«Magari! Proprio in questi giorni, a quasi due anni dal sequestro, la discarica rischia di essere riaperta. La mancanza di manutenzione ha provocato la formazione di 5 mila tonnellate di percolato che deve essere bonificato urgentemente per un costo stimato di mezzo milione di euro che non si può chiedere alla società titolare della discarica che è andata in liquidazione, dopo aver ottenuto le somme depositate in provincia a titolo di garanzia (fideiussioni). I carabinieri del Noe di Lecce, tuttavia, su decreto del gip del tribunale di Lecce, hanno eseguito proprio in questi giorni un sequestro di 6,3 milioni di euro, per ingiusto profitto, nei confronti dei gestori della discarica. Siamo, quindi, di nuovo in mobilitazione».

 

Dentro il contesto che avete descritto, cosa significa per voi due l’enciclica Laudato si’?

«Era fortemente attesa da noi e quando abbiamo cominciato a leggerla insieme e non riuscivamo a concludere il testo perché ogni passo diventava fonte di confronto, nascevano  propositi, idee. Il primo effetto su noi possiamo definirlo quasi come un abbraccio del papa che ci spronava ad andare avanti, a non arrendersi, a credere e a sperare in un mondo migliore. Abbiamo sentito l’urgenza di condividere questi pensieri e progetti con alcuni amici e da questo confronto è nato un percorso di riflessione che si snoderà per tutto l’anno sulle varie tematiche della Laudato Si’».

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