La pace tra realismo e tensione utopica

In dialogo con Giuseppe La Porta del coordinamento Capitanata per la pace che ha organizzato la marcia diretta alla base militare di Amendola. Istanze di un pezzo di società civile attiva nella Puglia dove si svolgerà, a metà giugno, il vertice del G7
Foto Coordinamento Capitanata per la pace

Migliaia di militari saranno schierati a metà giugno in Puglia a protezione dei lavori del G7 in programma a Borgo Egnazia, vicino Fasano, per timori di attentati e contestazioni verso un meeting esclusivo ma che si presenta come informale tra i vertici di Italia, Canada, Francia, Germania, Giappone, Regno Unito, Stati Uniti d’America e quelli dell’Unione Europea.

Giuseppe La Porta, a destra, con il sindaco di Corato, Corrado De Benedettis. Foto Capitatanata per la pace

È fitta l’agenda di un G7 alternativo che ha avuto già un suo primo momento nella marcia organizzata il 14 aprile 2024 da Foggia all’aeroporto militare di Amendola. Ne parliamo con Giuseppe La Porta del coordinamento Capitanata per la pace che ha organizzato la marcia e la serie di incontri che hanno preceduto la manifestazione itinerante.

Quale è la finalità principale della vostra azione?
Promuovere il disarmo anziché la corsa agli armamenti, educare alla pace e ai diritti umani anziché propagandare la guerra, favorire un’economia sociale e solidale anziché un’economia di guerra e rispettare i diritti umani e le minoranze anziché l’autoritarismo. Tutte proposte concrete che potrebbero contribuire a costruire un mondo più pacifico e giusto.

Caccia F35 a Amendola per esercitazione Falcon Strike ANSA/GIUSEPPE LAMI

Cosa significa, per il vostro territorio, l’aeroporto militare di Amendola?Molti di noi ricordano come nel 1999, nell’Operazione Allied Force della NATO (non autorizzata dall’Onu) contro la Jugoslavia di Milosevic per le uccisioni e le violenze contro gli albanesi del Kossovo, proprio da Amendola partivano gli aerei belgi ed olandesi che andavano a bombardare Belgrado ed altre città serbe. Fu allora che organizzammo le prime iniziative di protesta davanti alla base e poi nel 2002 si svolse la prima marcia Emmaus-Amendola.

Ha un ricordo personale di quell’epoca?
Certo. In quei giorni di 25 anni fa, in classe con i miei studenti, sentivamo sulle nostre teste il rombo dei caccia che, decollati da Amendola, viravano sul cielo di Foggia prima di dirigersi verso i Balcani. Un’esperienza agghiacciante. E fu proprio in seguito a quei bombardamenti della NATO che le stragi degli albanesi e la pulizia etnica aumentarono…

E oggi?
Amendola ospita i costosissimi aerei F35, potenzialmente armabili con missili a testata nucleare, circostanza che suscita timori per la sicurezza a livello sia provinciale che regionale. La Base funge, inoltre, da centro di controllo, di comando e di addestramento “di eccellenza” per i droni, “armi disumanizzate e disumanizzanti” perché per il loro uso in operazioni militari a distanza spersonalizzano ancora di più la guerra e rendono più “asettica” l’uccisione, non solo dei “nemici”, ma, come sempre più frequentemente avviene, dei civili.

È anche inevitabilmente un luogo di esercitazioni militari…
Infatti ad Amendola si sono anche addestrati, nell’esercitazione “Falcon Strike 2021” , i piloti israeliani degli F35, magari quegli stessi che in questi mesi hanno causato e stanno causando una carneficina nella Striscia di Gaza.

Vi siete imbattuti con il divieto imposto di arrivare all’ingresso dell’aeroporto…
È il terzo anno che accade e lo reputiamo una restrizione ingiustificata e un impedimento al nostro diritto di esprimere pacificamente le nostre opinioni. Abbiamo avuto però la nota positiva della presenza nella tappa finale della marcia, vicino la recinzione della base,  della sindaca di Foggia, Maria Aida Episcopo e dell’assessora Daniela Patano. Il sindaco di Corato, Corrado De Benedittis, ha preso parte dall’inizio alla manifestazione.

Marcia Foggia Amendola
14 aprile 2023 Foto coordinamento Capitanata per la pace

Come risponde a chi afferma che manifestare non serve a nulla se non si è capaci di fare proposte alternative credibili?
Innanzitutto parto da un’autocritica. Come giustamente disse Alex Langer, politico e pacifista altoatesino, i movimenti per la pace devono sforzarsi di essere sempre meno costretti ad improvvisare per reagire a singole emergenze ed attrezzarsi invece a sviluppare idee e proposte forti, capaci di aiutare anche la prevenzione, non solo la cura di crisi e conflitti. Vorrei perciò richiamare alcune delle diverse proposte presenti nel nostro documento di convocazione della Marcia.

Cosa chiedete in pratica?
L’assistenza alla popolazione di Gaza e il rifinanziamento dell’UNRWA (l’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei profughi palestinesi nel vicino oriente, ndr). La promozione di conferenze di Pace dell’ONU per le regioni in guerra. Il diritto di asilo a dissidenti, obiettori di coscienza, disertori.
La ratifica dell’Italia del Trattato ONU di messa al bando delle armi nucleari. La difesa della trasparenza sull’export di armi italiane, la riduzione delle spese militari a favore della spesa sociale, per la tutela ambientale e per una difesa civile nonviolenta. Ora, tutto sta ad intendersi su cosa significhi “proposte credibili”.

Appunto, sono tutte istanze importanti ma difficili da realizzare.
È chiaro che nel pacifismo c’è un’insopprimibile tensione utopica, ma è anche vero, per dirla con il filosofo Ernst Bloch, che «nulla è più umano del superare ciò che è». Riprendo allora, per esempio, la proposta della “ratifica dell’Italia del Trattato ONU di messa al bando delle armi nucleari”, entrato in vigore nel gennaio 2021, ma non firmato dall’Italia, perché è membro della NATO ed “ospita” nelle basi di Aviano e Ghedi decine di bombe nucleari Usa. A scuola, in più classi, ho varie volte fatto questo semplice sondaggio: chi è d’accordo che l’Italia firmi questo Trattato? Di dissidenti, quasi zero. E sono sicuro che, se sulla questione si potesse fare un referendum (e non si può fare), la stragrande maggioranza degli italiani e delle italiane lo sottoscriverebbe. Qui si pone, come si vede, anche un problema di rappresentatività democratica delle scelte dei nostri governi.

C’è poi la difesa della trasparenza sull’export di armi italiane…
L’attuale governo ha promosso una riforma della L. 185/90, che riguarda tale questione, rendendo l’export più opaco e meno rintracciabile il ruolo delle banche che lo finanziano. Non è credibile opporsi a questa “controriforma”? Ma è l’ultima proposta quella su cui mi vorrei maggiormente fermare.

Cioè?
La richiesta dell’istituzione di una “difesa civile non violenta”, la vera, grande assente nel dibattito pacifisti-“realisti” riapertosi dal giorno dell’invasione russa. Cito gli studi compiuti dalle ricerche di Erica Chenoweth, docente all’università di Harvard, che ha analizzato gli esiti di 325 campagne nonviolente di massa e di 303 campagne classificate come violente, tutte svoltesi tra il 1900 e il 2019. I successi della resistenza civile rispetto a quella armata sono stati del 59% contro il 27% nelle lotte interne antiregime, e il tasso di mortalità è stato di 1 a 22; in quelle contro l’occupazione di un Paese il successo della resistenza civile è stato del 41%, contro il 10% della resistenza armata. Dati interessanti, vero?

Puoi fare degli esempi di casi storici?
C’è sempre quello luminosissimo di Gandhi nella lotta per l’indipendenza dell’India dal colonialismo britannico, che ha evidenziato il potenziale della nonviolenza nel lottare per la libertà e nel generare cambiamenti significativi.  A proposito della resistenza danese durante l’occupazione nazista, Hannah Arendt ebbe modo di scrivere ne La banalità del male: «Si dovrebbero tenere lezioni obbligatorie in tutte le università ove vi sia una facoltà di scienze politiche, per dare un’idea della potenza enorme della nonviolenza».

Ma come lo si può declinare nei conflitti attuali?
Nello specifico scenario russo-ucraino, in Donbass, territorio segnato dalla contrapposizione fra gruppi di lingua russa e ucraina, sarebbe stata necessaria la presenza dei Corpi Civili di Pace da ben prima del 2014, vero anno di inizio della “guerra”. Queste forze avrebbero potuto favorire il dialogo e la collaborazione tra le parti, in vista del fine sovraordinato della pace, impedendo così l’escalation del conflitto sino alla tragica situazione odierna.

Tra i promotori della marcia c’è anche l’Ambasciata di Pace-Palazzo Dogana di Foggia. A cosa di riferisce?
Palazzo Dogana è la storica sede della Provincia di Foggia, il luogo dove si riscuotevano i proventi della transumanza e si giudicavano e componevano i conflitti tra pastori e contadini. È  stato riconosciuto nel 2013 Monumento e sito messaggero di una Cultura di Pace dall’Unesco per essere stato, nei secoli, punto di riferimento per i popoli dell’Italia meridionale. Ma già nel 2003 (l’anno della seconda Guerra del Golfo) una delibera dell’allora giunta provinciale ha eretto idealmente Palazzo Dogana ad Ambasciata di Pace, per favorire la promozione sul territorio di una cultura di pace intesa come diritto/ dovere all’accoglienza, al dialogo e alla valorizzazione delle differenze per una trasformazione nonviolenta dei conflitti.

Vedi anche intervista integrale sul blog Adesso

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