La pace non è un optional
La Chiesa cattolica, per mano del suo papa-scrittore, ha diffuso a Cipro l’Instrumentum laboris, il documento di lavoro per il prossimo Sinodo dei vescovi sul Medio Oriente.
A Gerusalemme gira una battuta: se una persona trascorre una settimana in Terra Santa, scrive un libro; se vi si trattiene un mese, partorisce un articolo; se vi si trasferisce per un anno, non riesce a produrre una riga. Aggiungo io: dopo venti secoli di presenza in quella terra, arriverebbe a scrivere un documento. È quello che accade ora alla Chiesa cattolica che, per mano del suo papa-scrittore, ha diffuso a Cipro l’Instrumentum laboris, il documento di lavoro per il prossimo Sinodo dei vescovi sul Medio Oriente, che inizierà a Roma il 10 ottobre. Un documento senza peli sulla lingua, scritto non solo con l’inchiostro ma anche col sudore e col sangue di generazioni di cristiani che hanno vissuto le traversie della vicenda mediorientale.
Il documento traccia dei cerchi concentrici. Ha innanzitutto una valenza intra-ecclesiale, vuole cioè confortare le comunità cristiane ridotte a «piccolo gregge» (118): «Abbiamo un avvenire e dobbiamo prenderlo per mano» (119). Il documento sottolinea come i cristiani, nonostante il «numero esiguo» (24), siano parte delle società mediorientali a pieno titolo, con una vocazione specifica, quella di evidenziare «che la persona non può realizzare pienamente sé stessa prescindendo dalla sua natura sociale, cioè dal suo essere “con” e “per” gli altri» (27).
Ma la Chiesa non può vivere che aperta al mondo. Ecco la valenza ecumenica, l’invito ripetuto a più riprese per eliminare «gli ostacoli all’unità visibile voluta da Cristo» (18). I capitoli più determinanti appaiono tuttavia quelli dedicati alla libertà di religione e di coscienza (36ss); ai rapporti con l’ebraismo – «Le relazioni ebraico-cristiane risentono del conflitto israelo-palestinese» (89), a proposito del quale viene ricordato l’auspicio che «ambedue i popoli possano vivere in pace in una patria che sia loro, all’interno di confini sicuri ed internazionalmente riconosciuti» –; e a quelli con i musulmani, «più o meno spesso difficili» (96), che potranno avere successo se si riconosceranno «la libertà religiosa e i diritti dell’uomo», mentre i cristiani dovranno evitare «atteggiamenti difensivi» e il «ripiegamento su di sé tipici delle minoranze» (97).