La pace indivisibile
Con il tragico attentato terroristico alla scuola rabbinica di Gerusalemme, dopo i raid israeliani a Gaza, che hanno causato numerose vittime tra la popolazione civile, i venti di guerra hanno ripreso a soffiare sui fragilissimi negoziati per il tanto sospirato accordo di pace tra Israele e Palestina. Da Gaza continuano a piovere razzi Kassam sulla città di Sderot, ed i più potenti razzi katyusha su Ashkelon, nel sud di Israele. Gli israeliani, da parte loro, mantengono sostanzialmente il blocco dei valichi a Gaza nel tentativo di strangolare Hamas, con il solo risultato, sinora, di tenere un’intera popolazione in stato d’assedio. Appare difficile, se non tacciono le armi da entrambe le parti, e soprattutto se non c’è un disarmo delle coscienze, che i colloqui tra il primo ministro Olmert e il presidente dell’Autorità nazionale palestinese, Abu Mazen, possano realisticamente produrre dei risultati concreti. Le speranze di pace che si sono aperte con la conferenza internazionale di Annapolis, a novembre 2007, si sono fatte flebili, a meno che non si determinino alcune scelte politiche forti. In campo israeliano, ad esempio, è incoraggiante che si continui a sottolineare, almeno in teoria, l’impegno assunto ad Annapolis di negoziati per la creazione di uno Stato palestinese. In campo palestinese, la situazione di Gaza, governata da Hamas, rende assai difficile la posizione di Abu Mazen. Egli, di fronte al suo popolo, non può permettersi di continuare a parlare con Tel Aviv senza prospettive serie, mentre continuano le operazioni militari israeliane e vengono diffuse nel mondo le immagini delle vittime civili, effetti collaterali che hanno il volto di donne e bambini. Non si può pensare che sia possibile fare la pace con Ramallah e contemporaneamente fare la guerra a Gaza! Il grande garante del processo di pace rilanciato ad Annapolis, cioè il governo americano, formalmente mantiene l’obiettivo di uno Stato palestinese entro il mandato di Bush, a fine 2008. Tuttavia, realisticamente, appare poco probabile che, in una situazione elettorale, l’amministrazione uscente possa davvero coinvolgersi a fondo, specie se ci saranno scelte complesse e lungimiranti da far digerire alle due parti, in particolare ad Israele. Resta poi il nodo del rapporto con Hamas, formalmente una organizzazione terroristica, che tuttavia aveva vinto regolari elezioni e si era impegnata in un governo di unità nazionale con l’Anp, poi osteggiato e boicottato dalla comunità internazionale. Negoziare una tregua con Hamas, come sostengono analisti americani e israeliani, rimane un tema fortemente controverso, ma ineludibile.