La pace di Francesco
Siamo tutti alla disperata ricerca di qualche antidoto alla conflittualità, all’aggressività e alla guerra, convegni e ricerche e iniziative pacifiste e solidaristiche tentano, nell’emergenza delle battaglie risorgenti, di trovare una qualche via di pace. In una visita di studio ad Assisi, con gli studenti dell’Istituto Universitario Sophia, sulle tracce di un profeta della pace indiscusso, Francesco, il Poverello, alcuni elementi pescati indietro del tempo parlano, più del solito.
Tra i 20 e i 21 anni, il figlio del ricco Bernardone, il “re delle feste”, si trovò a combattere contro i perugini, in una delle ricorrenti battaglie che avvenivano tra le due vicine città. Perse, e anzi si ritrovò per un anno a languire nelle prigioni perugine. Certamente, in quel soggiorno forzato ebbe occasione di pensare e ripensare alla vita che conduceva, all’inutilità della guerra come strumento di convivenza civile, all’incongruenza del combattere per fini materiali.
Ed ecco Rivotorto, in particolare la chiesetta di Santa Maria Maddalena, attorno alla quale gli assisani avevano localizzato il lebbrosario, il luogo dove i malati di malattie della pelle venivano confinati: avevano il divieto di entrare in città, avevano una campanella legata alla caviglia per segnalare il loro arrivo, non potevano lavorare, vivevano di qualche elemosina, avevano il solo conforto di un pretino emarginato pure lui. Francesco volle vivere lì, lebbroso tra i lebbrosi, anche se non contrasse mai la malattia. La pace del cuore l’otteneva con quei fratelli rigettati dalla convivenza civile. «Ciò che mi sembrava ripugnante mi fu cambiato in dolcezza», scriverà Francesco nel Testamento. Se i “nemici” erano i lebbrosi, Francesco volle conoscerli e frequentarli, non allontanarli.
San Damiano. Fu lì che Francesco si mise a fare il muratore per riparare la chiesetta che rischiava di crollare, metafora della grande impresa di tenere in piedi la Chiesa di Cristo, tutta intera. Mettere mano alla costruzione della società: la pace ha bisogno di artigiani e non di grandi architetti. Sì, le strategie di pace sono benedette, ma se non c’è chi poi concretamente la fa non si ottiene nulla.
Arriviamo poi alla Porziuncola: Francesco insegna in quella piccola chiesa che la vita di comunità è salvifica, attira il bene, riempie i granai, evita che le diatribe diventino violenza. La vita coi fratres era sommo antidoto alla guerra. Anche alla Porziuncola si incontrano uomini di pace, anzi un gruppo di uomini di pace.
Santuario della Spoliazione. Lì Francesco, in segno di rifiuto della ricchezza, del potere, degli onori, si spogliò di ogni cosa. Il padre Bernardone, furente di rabbia, raccolse i vestiti del figlio e se ne andò ripudiandolo definitivamente, mentre il vescovo in qualche modo cercò con un mantello di ricoprirlo. La pace è sobria, la pace non ha bisogno di ricchezze, spesso inique, la pace ripudia le armi, gli strumenti di offesa.
Santa Chiara, il nascondimento. Le giovani donne attorno a Santa Chiara scelgono la preghiera: «Voi state in mezzo al mondo, noi pregiamo per voi», disse Chiara a Francesco e ai suoi frati. La pace non la si costruisce solo con l’azione, con la diplomazia, con la politica. La pace ha bisogno della dimensione nascosta, quella spirituale, quella che disarma i cuori. Ci sono troppi sentimenti di violenza nei luoghi dove la guerra esplode. Bisogna disarmare i cuori.
Basilica di San Francesco, tomba del Poverello: la morte, il sacrificio fino al martirio spesso sono necessari per generare la pace attorno a sé. Il sangue versato, se motivato dalla pace, è fecondo. Basilica inferiore: affreschi dell’infanzia di Gesù di Giotto: la pace la si impara nella famiglia e nell’educazione. Basilica superiore: l’incontro col sultano, il dialogo tra diversi, anche nel campo religioso è determinante, la religione ha da essere fattore di unione e non di divisione.
Usciamo, uno studente chiede di un episodio che non è presente negli affreschi della basilica, l’incontro col lupo di Gubbio, una parabola politica per eccellenza. Francesco andò incontro al lupo per sapere quello di cui aveva bisogno, in modo da procurarlo ed evitare così l’aggressività dell’animale. Francesco aveva paura, ma l’aveva messa a tacere per trovare la via per evitare la guerra.
Riprendiamo con uno studente palestinese i vari episodi della vita di Francesco. Ad un certo momento, mi dice convinto: «Ci sarebbe bisogno di un Francesco a Gaza». Quant’è vero.