La pace a pezzi, anche in Pakistan e Afghanistan

13 settembre 2014. Al Sacrario militare di Redipuglia, nel centenario dell’inizio della Prima guerra mondiale, papa Francesco durante l’omelia, azzardava: «Anche oggi, dopo il secondo fallimento di un’altra guerra mondiale, forse si può parlare di una terza guerra combattuta “a pezzi”, con crimini, massacri, distruzioni…». Concetto ripreso più volte e ufficializzato nel 2020 nell’Enciclica Fratelli tutti: «Nel nostro mondo ormai non ci sono solo “pezzi” di guerra in un Paese o nell’altro, ma si vive una “guerra mondiale a pezzi”, perché le sorti dei Paesi sono tra loro fortemente connesse nello scenario mondiale» (FT, 259).
Recentemente rimbalza sui social un’espressione che fa da specchio a quella del papa. Il responsabile ucraino della Comunità di Sant’Egidio, Yura Lifanse, racconta la solidarietà multidimensionale messa in atto per provare a lenire le tante ferite di un popolo provato da 3 anni di guerra. E commenta: «Il Papa parla di terza guerra mondiale a pezzi. Anche la pace può essere costruita a pezzi. E ogni atto di solidarietà nasconde in sé un’azione di pace. Perché ha la capacità di riassettare un tessuto umano lacerato».
Ci sono “pezzi di pace” anche in Afghanistan e Pakistan, Paesi stigmatizzati da una storia di violenza, intolleranza, guerre e invasioni. Ho tralasciato di proposito le tante e importanti iniziative umanitarie delle molte ong internazionali e i simposi di intellettuali e attivisti dei diritti umani, segni autorevoli, per quanto a volte screditati, di una pace mondiale che cerca ostinatamente di farsi strada. Ho provato, invece, a setacciare la cronaca dei quotidiani locali.
Afghanistan. Un ex giornalista della testata Daily Outlook Afghanistan, ricorda l’impegno, suo e dei colleghi, di analizzare le questioni politiche da una prospettiva di speranza, proponendo anche storie positive. Con l’insediamento dei talebani, il giornale – come altri mezzi di comunicazione liberi – è stato chiuso. Era subentrata la delusione e il disincanto finché «ho deciso – racconta – di mettere a frutto gli anni di esperienza come insegnante di inglese e fondare, insieme ad amici, un’accademia privata per l’insegnamento della lingua in un sobborgo di Kabul. Nonostante il divieto di frequentare l’istruzione secondaria e universitaria, le ragazze possono ancora studiare in centri privati. Rispettiamo le regole, le ragazze studiano in stanze separate, indossano il burqa, ma studiano!!! Ho superato così la paralisi della disperazione che ha afflitto tanti di noi afghani».
Un editoriale, a firma Bill Frelick, direttore del settore diritti di migranti e rifugiati dell’Ocha (Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari), riporta che, alla fine di ore estenuanti nella raccolta dei tragici racconti di persone traumatizzate da grosse perdite, da viaggi disumani e soprusi indescrivibili, «mentre raccoglievo le mie cose e chiedevo al bar improvvisato il conto per il tè che mi aveva sostenuto durante la giornata, il proprietario ha espresso un deciso: “Non ce n’è bisogno. Quel giovane rifugiato ha pagato per te”. Ce ne sono tanti di questi piccoli atti che, nel volto schiacciante della violenza incontrollata, sono una riaffermazione essenziale dell’umanità».
Pakistan. Nel Kashmir, teatro di perpetua e violenta contesa con l’India, viene proposto ai ragazzi il calendario del Ramadan, il mese sacro del digiuno iniziato lo scorso 1° marzo. Sul giornale Good Morning Kashmir il Ramadan è descritto come un «atto di culto, una possibilità di avvicinarsi a Dio e un modo di diventare più compassionevoli verso coloro che versano nel bisogno». Il saggio studioso musulmano Imam Ibn Rajab diceva che, alla domanda “Perché è stato istituito il mese di digiuno?”, i suoi pii predecessori rispondevano: «In modo che il ricco sperimenti la fame e non dimentichi così l’affamato». Il calendario è dunque una proposta per suggerire ogni giorno un atto concreto di solidarietà.
Ateeq Afridi è il fondatore di Acts of Kindness (AoK), o meglio, “Atti di gentilezza dalla terra dei puri”, organizzazione no profit in cui più di 3 mila volontari hanno raggiunto, in quattro anni, 30 città, con l’obiettivo di unire studenti e giovani professionisti di diversi background nel sostegno di progetti su piccola scala per migliorare la società con atti di gentilezza.
A Verona, nel maggio 2024, papa Francesco presiedeva l’incontro “Arena di Pace – giustizia e pace si baceranno” e firmava l’introduzione all’omonimo volume edito da Lev e l’Arena, concludendo così: «Contro una guerra mondiale a pezzi, ci sono dunque piccoli tasselli di pace che se si saldano insieme, costruiscono una pace grande. In queste scelte di pace e di giustizia quotidiane e a portata di mano, possiamo seminare l’inizio di un mondo nuovo dove la morte non avrà l’ultima parola e la vita fiorirà per tutti».
Anche in Paesi come Pakistan e Afghanistan, che a pieno titolo possono essere considerati tasselli di quel mosaico che è la guerra mondiale in corso, questa pace artigianale, come la definisce il Papa, è un seme di speranza.
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