La nuova destra
«Credo sia arrivata l’ora che dicano la verità alla società catalana: che il loro movimento va contro la storia e che non hanno una maggioranza sociale che lo sostenga». È questo una degli slogan lanciati mercoledì scorso dal premier spagnolo, Pedro Sánchez, ai deputati dei gruppi indipendentisti catalani durante la sessione di controllo al governo. La plenaria parlamentare, sotto l’ombra del recente accesso dell’estrema destra (Vox) al Parlamento regionale andaluso (11% della Camera), non poteva evitare di entrare nella complicata situazione politica e sociale in Catalogna, e allo stesso tempo dimostrare il timore che pian piano si fa strada tra la classe politica: l’irruzione dell’estrema destra obbedisce in gran misura a una reazione contro il movimento indipendentista. A confermarlo, la mano tesa del portavoce dell’Erc (sinistra repubblicana di Catalogna) per «fare un fronte anti repressione» contro la possibile avanzata del Vox nelle prossime elezioni a maggio. «Oggi le offro aiuto – ha detto Gabriel Rufián– per fare un fronte antifascista ed evitare che i tre cavalieri dell’Apocalisse arrivino alle porte della Moncloa». I tre «cavalieri» cui fa riferimento il repubblicano Rufián non sono altri che Pablo Casado, del Partito popolare (Pp), Albert Rivera, di Ciudadanos (C’s) e Santiago Abascal, del Vox.
Rappresentano il ventaglio dispiegato di una destra politica che fino a non molto fa era più o meno raggruppata. Insieme, se riuscissero a mettersi d’accordo, potrebbero arrivare «alle porte della Moncloa», la sede del governo. E non sono senza fondamento i timori degli indipendentisti. Il partito Vox si trova tra quelli che fanno parte dell’accusa popolare nella causa contro i politici catalani carcerati dopo gli eventi dell’anno scorso, accusati di sedizione tra le altre cose. Per loro Vox chiede oltre 700 anni di prigione.
Dall’altro lato, i due «cavalieri» presenti alla Camera (Casado e Rivera) fanno pressione su Sánchez perché attualizzi la messa in moto dell’articolo 155 della Costituzione, e cioè, intervenire e sospendere di nuovo l’autonomia della Catalogna, com’è già successo l’anno scorso. E anche se non si è sentito dire durante la sessione di controllo, c’è già chi punta sulla possibilità di rendere illegali i partiti secessionisti, in particolare quelli che si dicono repubblicani (la Spagna è costituzionalmente una monarchia). A motivare il polso di ferro, senz’altro la constante attività del Cdr (comitati per la difesa della repubblica), gruppi formati soprattutto da giovani che periodicamente sono protagonisti in episodi di protesta, mettendo in difficoltà l’azione dei mossos de escuadra, la polizia catalana.
Non sarà facile per Pedro Sánchez trovare quel punto di moderazione che equilibra la bilancia. Agli indipendenti ha chiesto di rinunciare alla via unilaterale, che non ha prodotto quel che loro si aspettavano, e rinunciare pure a un referendum di autodeterminazione alla scozzese, con un semplice «sì o no». Quel che chiede Sánchez è che il movimento indipendentista abbia un sostegno sociale tra il 75% e l’80% dei catalani, e poi si troverà una «formula» che possa accontentare la maggioranza sociale riguardante l’autogoverno, lo Statuto di autonomia e la Costituzione. D’indipendenza, non se ne parla.