La nostra vita

Daniele Luchetti indaga su  un uomo di oggi che da solo si trova a far da padre a dei figli senza madre. Uno sguardo intenso sulla famiglia. 
La nostra vita

Claudio (Elio Germano) è un operaio edile di trent’anni che lavora in un cantiere della periferia romana. Sposato, due figli, un terzo in arrivo, vive un amore complice con la bella moglie Elena (Isabella Ragonese). La morte improvvisa di lei per parto, gli sconvolge la vita. Reagisce rinchiudendosi in sè stesso e diventando ostile, preso dal successo e dal guadagno. Si mette nei guai. E’ la famiglia d’origine ad aiutarlo a ritrovare sé stesso e l’amore per i figli.

 

Questo il racconto, in sintesi. Ma il film di Daniele Luchetti dice molto di più. Riprende la vita pesante dei cantieri edili, la realtà degli extracomunitari con cui si lavora, i loschi traffici per rimanere a galla e avere successo. Ma soprattutto indaga, senza esagerare come Luchetti sa sempre fare, il maschio d’oggi che si trova a far da padre a dei figli senza madre e rimane spaesato. E’ la famiglia, ancora una volta, l’oggetto dello sguardo del regista. Uno sguardo una volta tanto positivo. Perchè essa, nonostante tutto, è quella che nel bisogno può sostenere chi si sente perduto.

 

Recitato da un Elio Germano in forma (anche se ripetitivo nei ruoli, ormai) e da un cast di bravi attori (Giorgio Colangeli, Raoul Bova in una inedita parte di timidone, Luca Zingaretti in uno spassoso trafficante di droga e Stefania Montorsi) il film ha un ritmo scorrevole da cima a fondo. L’unico peccato – non se la prendano i cittadini della capitale – è l’eccesso di “romanità” nel linguaggio e nelle situazioni, che rischiano di rendere il film poco comprensibile all’estero (è stato infatti presentato a Cannes) e dare dell’Italia e del suo cinema un po’ “minimalista”, un’immagine poco lusinghiera.

 

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