La nostra sicurezza in mano a Trump
In un recente articolo su cittanuova.it, Michele Zanzucchi, ha scritto che dopo l’incursione aerea sullo Yemen da parte degli Usa, che ha provocato vittime tra i civili, l’Italia non dovrebbe vendere armi e collaborare in questo settore anche con gli Stati Uniti.
Di fatto, nel prossimo vertice G7 previsto per il prossimo maggio a Taormina, in Sicilia, Donald Trump chiederà al governo italiano un maggior impegno nelle spese militari nel quadro delle alleanze strategiche internazionali.
Come è noto, dal nostro Paese partono addirittura carichi di bombe diretti verso l’Arabia Saudita che è alla guida di una coalizione militare impegnata nel conflitto in Yemen dove i bombardamenti non risparmiano neanche scuole e ospedali.
Da ministro degli esteri, l’attuale premier Gentiloni Silveri ha affermato che l’invio di bombe in Arabia Saudita è coerente con la legislazione nazionale perché non esiste un bando Onu o europeo verso un Paese che è notoriamente alleato con l’Occidente tramite gli Stati Uniti.
La questione è serissima anche se non sembra interessare i principali media. Come se ne può uscire con dignità e coerenza? Lo abbiamo chiesto al professor Maurizio Simoncelli, cofondatore dell’istituto di ricerche internazionali Archivio Disarmo che interverrà il prossimo 14 marzo all’incontro programmato presso la Camera dei Deputati dal Movimento dei Focolari sulla questione “Scelte di pace: riconvertiamo l’economia che uccide”.
Professor Simoncelli, lei non si è limitato alla produzione scientifica ma si è recato presso la Procura della Repubblica per denunciare il reato di violazione della legge vigente (la n.185/90) sulla vendita di armi ai Paesi che sono in guerra e/o violano i diritti umani. Da cosa parte questa decisa presa di posizione?
La legge 185/90 in vigore in Italia vieta all’articolo 1 le esportazioni a Paesi in guerra, salvo diverse delibere del consiglio dei Ministri, previo parere del Parlamento. Quindi se è vero che non esistono embarghi Onu o UE per esportazioni di materiali di armamento verso l’Arabia Saudita in guerra nello Yemen, è anche vero che il governo non ha consultato il Parlamento in merito, come prescritto chiaramente dalla legge. Si ha sempre più la sensazione di un esecutivo che non vuole confrontarsi con il legislativo, in particolare nel campo della Difesa.
Resta il fatto che il governo si fa scudo della mancanza di embargo da parte dell’Onu…
Dobbiamo tener presente, tuttavia, che la coalizione a guida saudita, e supportata anche dagli Stati Uniti, non ha mai ricevuto nessun mandato dell’ONU per intervenire nel conflitto yemenita. La contraddizione può essere superata solo rispettando la legge e quindi chiedendo il parere al Parlamento, la cui maggioranza teoricamente si dovrebbe esprimere in modo omogeneo alle scelte governative. Peraltro si tratterebbe solo di un parere non vincolante, per cui l’esecutivo si potrebbe comunque assumere la responsabilità politica. Rimane comunque il vulnus di un governo che non rispetta le proprie leggi nazionali.
Sembra coerente con quanto afferma Pax Christi quando afferma che il Consiglio dei ministri ha approvato il 10 febbraio 2017 un disegno di legge per l’implementazione del «Libro Bianco per la sicurezza internazionale e la difesa» che avrebbe demolito la nostra Costituzione, in particolare gli articoli 52 e 11. Secondo Pax Christi, «l’Italia viene ridisegnata e snaturata come potenza che si arroga il diritto di intervenire militarmente sia in aree vicine come Nordafrica, Medioriente o Balcani, sia ovunque siano in gioco gli interessi di potenze rappresentati dalla Nato sotto comando degli Stati Uniti». Quale è il vostro parere in merito come Istituto di ricerca indipendente ?
Il nuovo Libro bianco voluto dal ministro Pinotti sottolinea ripetutamente che per l’Italia l’area d’interesse primario è lo spazio euromediterraneo, ma contemporaneamente afferma l’impegno ad operare anche in altri teatri (quello nordatlantico, eurocontinentale ed altrove), in base alla constatazione della globalizzazione dell’economia e della sicurezza: in pratica, in tutto il mondo. Inoltre, pur affermando l’esigenza di prevenire e gestire situazioni d’instabilità, non si analizzano in modo adeguato né le cause né soprattutto i risultati degli interventi militari nelle varie aree di crisi, non sempre positivi (si pensi al caos creato in Iraq, Afghanistan e Libia).
In realtà l’Italia da molti anni opera militarmente a livello mondiale…
Infatti è presente in 29 missioni in 20 Paesi tra cui Kosovo, Afghanistan, Libano, Somalia, Mali, Bosnia, Egitto, Libia e Iraq. E questo rientra nell’ambito della nuova strategia a 360 gradi assunta dalla Nato sin dalla fine del bipolarismo. Da decenni, in Italia, sono stati messi in cantiere numerosi sistemi d’arma finalizzati ad un intervento a lungo raggio delle nostre forze armate: lo testimonia la portaerei Garibaldi, commissionata già nel lontano 1977, a cui sono seguite altre portaerei come la Cavour nel 2000 e la Trieste commissionata nel 2016. Per avere un termine di paragone, teniamo presente che la Francia, potenza nucleare, ha quattro portaerei mentre l’altra potenza nucleare europea, la Gran Bretagna, ne ha una sola.
Questo dispiegamento di forze si collega al programma dei nuovi cacciabombardieri?
Certo. Si sta procedendo contemporaneamente all’acquisto dei nuovi bombardieri F35, una parte dei quali sarà utilizzata per portare le bombe nucleari B61-12 collocate in Italia nelle basi di Aviano e Ghedi Torre e ciò nonostante che l’Italia abbia firmato il Trattato di Non Proliferazione nucleare dal 1968.
Lo scenario ci vede in campo non solo come compratori ma anche come venditori, per tornare all’applicazione della legge 185/90…
I dati sono evidenti. Il prestigioso istituto svedese Sipri recentemente ha messo in evidenza come le esportazioni di armi italiane, nonostante la legge 185/90 e il trattato internazionale Arms Trade Treaty in vigore dal dicembre 2014, siano indirizzate in misura rilevante soprattutto verso Turchia, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita e Israele nel Medio Oriente, nonché Pakistan e Singapore in Asia, Algeria in Africa, tutte aree a dir poco delicate. Ancora una volta si ha, pertanto, la sensazione che i nostri governi operino con prospettive completamente differenti dalle leggi in vigore e dai trattati firmati: i fatti concreti sono sempre più diversi dalle rassicuranti dichiarazioni ufficiali.