La nostalgia dell’amore

Non basta parlare di matrimonio per amore, o di famiglia fondata sull’amore, se non si dà un significato preciso a questo termine, partendo da una precisa visione dell’uomo e della relazionalità

Concludevo l’articolo precedente riflettendo sul fondamento antropologico dell’amore: non basta parlare di matrimonio per amore, o di famiglia fondata sull’amore, se non si dà un significato preciso a questo termine, partendo da una precisa visione dell’uomo e della relazionalità. Non nascondo che si tratta di una scommessa. L’ambito delle ragioni fondamentali che guidano la nostra vita è pieno di scommesse. Nessuno, infatti, parte da postulati certi e indiscutibili. Io scommetterò su una antropologia che prende le mosse dal cuore del mistero cristiano: l’antropologia trinitaria. Pur ancorata nella Rivelazione, la considero ragionevole e quindi legittima dal punto di vista umano.

Su quali idee forza fondare l’amore che sostanzia il matrimonio e la famiglia?

La prima idea è che la dinamica del vivere umano implica un dare e un ricevere, un darsi che significa riceversi dall’altro e un riceversi che significa darsi all’altro. Questa semplice idea capovolge lo schema individualista per cui l’io viene pensato come assoluto, e quindi punto di partenza di ogni rapporto sociale. L’io, invece, non si impone ma si riceve. Noi non costruiamo la nostra vita se non dandoci e ricevendoci dall’altro. Dall’altro non ricevo solo “qualcosa” (affetto, lavoro, denaro, accoglienza), da chi mi ama ricevo anche me stesso. Questo mette in luce una caratteristica essenziale della persona: la sponsalità. Nelle sue catechesi sull’amore, Giovanni Paolo II ha dedicato pagine memorabili a questo concetto.

La sponsalità riguarda tutti, sposati o meno: anche una suora di clausura, anche uno “zitello”, anche una vedova, anche chi è affetto da handicap fisico o psichico. Tutti possono avere una vita sponsale se si mettono in gioco nell’amore. Viceversa, uno sposato che sopravvive in un matrimonio senza amore, in un matrimonio inteso solo come contratto o strumento, vive una esistenza a-sponsale. È l’amore che ci fa sponsali.

La seconda idea forza è il significato relazionale dell’amore. Spesso, almeno nella cultura occidentale, anche cristiana, l’amore è concepito più come un atteggiamento che come una relazione. Nel campo della sessualità e del matrimonio non di rado l’amore è stato vissuto come una caratteristica dell’io, quindi come realtà unidirezionale, anche se con pretesa di reciprocità. Questo significa rinunciare a guidare la dinamica amorosa. L’affermazione raccapricciante della volontà di potenza, anche in un contesto di amore, può avere conseguenze tragiche, come nel femminicidio.

Invece c’è qualcosa di fondamentale nell’amore, che non ci appartiene.

L’amore non appartiene agli amanti, viene prima. Essi, costruttori del legame familiare, vengono piuttosto avvolti e travolti dall’amore. L’amore non si trova, non si fabbrica. L’amore non è solo passione. L’amore, come tutte le cose veramente umane, va coltivato, ricreato, spesso ricostituito, perfino trasfigurato. Perché, in realtà, è l’amore a trovare l’io, a trovare noi, e questo incontro ci cambia radicalmente. Le nostre realizzazioni sono spesso precarie, perché non si calano nelle profondità dell’essere. La famosa fedeltà nei rapporti, invece, non è altro che questo: la coltivazione costante dell’io e del noi raggiunto dall’amore. L’infedeltà, allora, vuol dire perdere un po’ sé stessi oltre che perdere l’altro. Se perdo l’altro, perdo me stesso. La nostalgia dell’amore perso è, in questo senso, nostalgia del nostro “io” migliore. (continua)

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons