La nomina di Cottarelli e la nuova campagna elettorale

La chiusura preventiva dell’esperimento di governo Lega M5S ci proietta verso nuove elezioni tra gravi polemiche. Seguiamo l’invito di Mattarella e cominciamo ad affrontare le grandi questioni a partire da un serio dibattito, aperto e approfondito
ANSA/ANGELO CARCONI

Carlo Cottarelli è arrivato a Roma di corsa e ha varcato il Palazzo del Quirinale, con tanto di trolley e zainetto, per ricevere da Sergio Mattarella l’incarico di presidente del Consiglio chiamato a formare un governo che, a prescindere dalla fiducia delle Camere, condurrà il Paese verso le elezioni. A settembre, se, come prevedibile non avrà il consenso della maggioranza parlamentare, oppure a inizio 2019, dopo aver definito la legge di bilancio.

I tempi sono comunque brevi e tali da non permettere l’applicazione di quel programma generale che l’ex alto dirigente del Fondo monetario internazionale ha reso noto da tempo, pubblicando le misure che non è riuscito a portare avanti dopo la nomina nel 2013, da parte del Governo di Enrico Letta, a commissario alla Revisione della spesa pubblica. D’altra parte Cottarelli non ha un mandato elettorale, ma è chiamato a svolgere un compito tecnico. La sua analisi è diventata un testo di carattere generale condensato in un libro (“I sette peccati capitali dell’economia italiana”), ma si avvale anche di uno strumento operativo come l’Osservatorio sui conti pubblici italiani, centro studi promosso dall’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano grazie a importanti partner finanziari (ad esempio la Deutsche Bank e la Fondazione Cariplo, passando per Banca Intesa e Banca Sella). Nel Comitato direttivo siedono importanti esponenti del mondo accademico e della cultura (dallo stesso Enrico Letta a Ferruccio De Bortoli, per fare qualche nome).

La persona scelta dal Presidente della Repubblica possiede quindi quelle caratteristiche di affidabilità e riconoscibilità internazionale che dovrebbero placare gli umori e i movimenti dei mercati mondiali.

Tra l’altro, l’Osservatorio diretto da Cottarelli aveva messo in evidenza, con un semplice schema da lista della spesa,  la insostenibilità delle coperture finanziarie  del contratto sottoscritto da Di Maio e Salvini come programma di governo. La palese sproporzione in euro tra le spese previste (da 108,7 a 127,7 miliardi) contro le entrate ipotizzate (un misero mezzo miliardo), ha viaggiato anche con un video animato promosso da Il Sole 24 ore, quotidiano di Confindustria.

Eppure la compagine giallo verde è arrivata ad un passo dalla presentazione al Parlamento per ricevere un voto di fiducia assicurato dal numero degli eletti di Lega e M5S. Tutto sembrava avviato secondo un piano inclinato, quando è emerso il nodo finale della nomina di Paolo Savona a ministro dell’Economia. L’anziano economista sardo, già ai vertici di Banca D’Italia  e ministro con il governo Ciampi, è un personaggio molto noto a livello internazionale. Fa parte di quella schiera di esponenti del cosiddetto establishment che hanno maturato una posizione radicalmente critica verso l’applicazione dei trattati europei e l’adozione della moneta unica.  È nota ad esempio la critica argomentata con lucidità, nonostante l’età, contro la moneta unica da parte del professor Giuseppe Guarino, stimato giurista e più volte ministro democristiano. Posizioni distanti da certe derive complottiste perché apertamente europeiste, ma polemiche contro il potere prevalente assunto nel tempo dalla Germania unificata. Il dibattito sull’euro diede luogo ad un vivace confronto nel 1997 se si ricordano le tesi divergenti tra Enrico Letta (perché sì) e Lucio Caracciolo (perché no), all’interno di un medesimo orizzonte culturale.

Alla fine sia Lega che M5S non hanno accettato il consiglio di Mattarella di sostituire il professor Savona con  Giancarlo Giorgetti, esponente di primo piano del Carroccio. Per il presidente della Repubblica, come ha avuto modo di esplicitare la sera di domenica 27 maggio, si trattava della necessità di trovare «un esponente che – al di là della stima e della considerazione per la persona – non sia visto come sostenitore di una linea, più volte manifestata, che potrebbe provocare, probabilmente, o, addirittura, inevitabilmente, la fuoruscita dell’Italia dall’euro. Cosa ben diversa da un atteggiamento vigoroso, nell’ambito dell’Unione europea, per cambiarla in meglio dal punto di vista italiano».

Evidentemente anche le ultime dichiarazioni di Savona, rilasciate sul sito “scenari economici” non sono state ritenute sufficienti per Mattarella ad evitare l’allarme degli investitori e risparmiatori, italiani ed esteri, con effetti devastanti per l’economia del Paese.

Tanto è bastato a Lega e M5S per abbandonare il percorso che li avrebbe condotti al governo e lanciare l’attacco a Mattarella come alleato dei “poteri forti” stranieri. Una mossa che dovrebbe portare, secondo certe aspettative, alla crescita dei consensi in vista delle elezioni invocate nei tempi più brevi. Il M5S ha convocato una manifestazione per il 2 giugno a Roma, nel giorno della festa della Repubblica e, secondo i primi sondagggi, la legge Rosato darebbe il 90 per cento dei collegi uninominali all’accoppiata Lega più pentastellati.

Salvini, che è apparso il più lucido nell’intera strategia, non ha fatto cenno finora a procedure di accusa di alto tradimento verso il capo dello Stato. All’articolo 90 della Costituzione hanno fatto appello, invece, la destra di Fratelli D’Italia, estranea all’accordo di programma, e il M5S con il suo giovane leader Luigi Di Maio.  Una scelta gravida di conseguenze per l’Unità del Paese, anche se non fondata nei fatti.

Da più parti, a cominciare dall’Azione cattolica, sono giunte espressioni di sostegno a Mattarella che, secondo alcuni osservatori, è stato lasciato da solo ad affrontare una crisi senza precedenti.

Le polemiche viaggiano molto a livello virtuale, sui social e sugli schermi, facilitando la costruzione di fazioni che si rafforzano al loro interno. Eppure proprio Mattarella ha invitato a non sfuggire la questione dell’ «adesione all’Euro che è una scelta di importanza fondamentale per le prospettive del nostro Paese e dei nostri giovani: se si vuole discuterne lo si deve fare apertamente e con un serio approfondimento. Anche perché si tratta di un tema che non è stato in primo piano durante la recente campagna elettorale».

Sarebbe da fare un elenco di tutti gli argomenti decisivi che non sono al centro di un serio dibattito pre-elettorale, ma gestiti in maniera del tutto superficiale, preda di elementari tecniche di consenso. Si pensi alla totale indifferenza sull’agenda migranti proposta da molte associazioni cattoliche per una gestione umana di una questione complessa che sarebbe stata affrontata con la logica delle espulsioni  dal nuovo ministro degli Interni Matteo Salvini. Eppure tutto ciò non ha creato dibattito e neanche allarme costituzionale.

Ormai siamo di nuovo in una lunga campagna elettorale. Adoperiamoci per affrontare i temi decisivi della nostra comunità nazionale.

A cominciare dal debito pubblico, ai trattati europei e alle scelte di politica economica possibile. Una grande opera di democrazia economica che nasce dal rifiutare una conoscenza riservata a pochi. Non è vero che non esistono soggetti e realtà in Italia in grado  di compiere questa opera di servizio per il bene comune.

 

 

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