La Nigeria mantiene le frontiere chiuse

Abuja ha deciso la chiusura – contestata dai vicini – dei confini del Paese il 20 agosto scorso. Ufficialmente per combattere il contrabbando. Futuro difficile per Benin e Niger

La chiusura dei confini della Nigeria è un duro colpo per l’economia del Benin. Per la benzina, ovviamente, ma anche e soprattutto per il riso. Il Paese è uno dei maggiori importatori al mondo, ma gran parte del suo stock viene infatti riesportato in Nigeria. È un duro colpo anche per il Niger: «Si stima che 40 miliardi di franchi Cfa (60 milioni di euro) siano il calo di Pil dovuto alla chiusura dei confini della Nigeria», ha dichiarato Mamadou Diop, ministro delle Finanze nigerino.

La chiusura è altresì un duro colpo per i Paesi membri dell’Ecowas (Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale). Per gli esperti, la chiusura delle frontiere «rovina le basi stesse del sistema commerciale Ecowas, vale a dire la circolazione delle merci in franchigia doganale in tutti i Paesi membri», denunciano. E penalizza l’economia dei vicini. «Secondo stime internazionali, il commercio transfrontaliero informale genererebbe circa il 20% del Pil del Benin», afferma Nigerian Tribune.

Il 14 novembre, ufficiali militari e doganali nigeriani hanno fatto irruzione in territorio beninese per sequestrare merci. Il Benin ha ovviamente protestato energicamente. Secondo le testimonianze, trenta uomini armati, presentatisi come ufficiali doganali e soldati nigeriani, sono sbarcati in territorio beninese per un’operazione di sequestro di riso. La squadra ha aperto le porte di un magazzino di proprietà di un commerciante beninese, ha sequestrato le merci e se n’è andato con sette pick-up pieni di sacchi di riso. L’ambasciatore nigeriano, intervistato dalla televisione del Benin, ha dichiarato di condannare qualsiasi cosa possa creare tensione tra i due Paesi e peggiorare la situazione attuale. Ha annunciato che sono in corso indagini per identificare gli autori.

Per nutrire i suoi 200 milioni di persone, la Nigeria spende quasi cinque miliardi di dollari ogni anno in importazioni alimentari, secondo le statistiche nazionali. Nel settembre 2018, il ministro dell’Agricoltura Audu Ogbeh ha persino indicato che tale importo ha raggiunto i 22 miliardi. Per porre fine a questa dipendenza e far decollare la produzione locale, Abuja sta intensificando le misure di prevenzione, come l’imposizione di una tassa del 110% sulle sue importazioni di riso, già nel 2013, o la limitazione dell’accesso ai cambi per 41 prodotti che ritiene possano essere prodotti in Nigeria.

Martedì a Lagos, in una conferenza-dibattito incentrato sul tema “Oltre la politica: una narrativa economica per l’Africa occidentale”, l’ex presidente del Ghana John Dramani Mahama ha dichiarato che la Nigeria deve assolutamente riaprire i suoi confini perché ciò è importante per il rilancio degli scambi tra la prima economia africana e i suoi vicini.

Sebbene alla fine abbia firmato l’accordo della Zlec (zona di libero scambio africana), la Nigeria continua a esprimere la sua riluttanza a giocare al gioco del libero scambio interafricano. Un atteggiamento che può ritorcersi contro lo stesso Paese se, a lungo termine, i vicini trovassero altri interlocutori economici. Il monopolio economico non può mai essere veramente raggiunto.

 

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