La nave sull’altopiano

Sorpresa nel cuore della Sila: un originale Museo dedicato ai flussi migratori di ieri e di oggi, dall’Italia e in Italia
La nave della Sila

C’è una nave fra i boschi di pino laricio e faggio del Parco Old Calabria, sull’altopiano della Sila. No, non è la gemella dell’Arca di Noè che la tradizione vuole essersi arenata dopo il Diluvio sulle pendici dell’Ararat. È un museo molto particolare, che dal 2005, in uno stupendo contesto naturalistico presso Camigliatello Silano, frazione di Spezzano della Sila, occupa gli ambienti di una antica vaccheria restaurata in modo esemplare da Sila Barracco.

 

È La Nave della Sila, Museo narrante dell’emigrazione opportunamente allestito dalla Fondazione Napoli Novantanove in una regione che, più di altre, ha vissuto questa drammatica esperienza. Nave perché la lunga sala espositiva simula la coperta di uno di quei grandi bastimenti che tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento trasportavano gli italiani in cerca di fortuna verso le Americhe e l’Australia. Narrante perché il visitatore ha davanti a sé come panorama, oltre i parapetti muniti di salvagente, un susseguirsi di pannelli con foto spesso inedite e copertine di periodici che ritraggono quei pionieri dell’emigrazione nei luoghi d’origine, durante l’esodo e al loro sbarco nella “terra promessa”: immagini toccanti che, col commento del giornalista e scrittore Gian Antonio Stella, parlano di miseria, speranza, sofferenza, di piccoli e grandi eroismi, ma anche dell’apporto dato dagli italiani alle loro nuove patrie.

 

Tre fumaioli rossi spuntano sulla coperta di questa simbolica nave, ciascuno dei quali ospita altrettante camere tematiche: due per visionare filmati e ascoltare canzoni d’epoca, mentre nel terzo è stata ricostruita nei minimi dettagli una cuccetta di terza classe, esempio di come viaggiavano i nostri padri. Nelle maniche a vento di poppa e di prua (in quest’ultima una gigantografia documenta il sospirato arrivo in porto) due postazioni telematiche consultabili offrono un approfondimento della vicenda migratoria di una famiglia calabrese e una banca dati con i nomi dei migranti sbarcati dal 1858 al 1920 a New York (Usa), La Plata (Argentina) e Santos (Brasile).

 

Il piano superiore comprende una grande sala per convegni, conferenze e proiezioni, una biblioteca contenente testi, film e documentari sull’emigrazione italiana e sui migranti in genere, e alcune postazioni internet dove è possibile navigare alla scoperta del mondo dei nostri emigrati. Non mancano una caffetteria e un bookshop di libri sul tema, tra cui la guida ufficiale del Museo, autori Vito Teti e Gian Antonio Stella, edita da Rubbettino.

 

Museo per ricordare, a chi non l’ha vissuto o l’ha rimosso, lo sradicamento delle passate generazioni per crearsi un futuro altrove? Sì, fermo restando che oggi, anche per tanti giovani italiani soprattutto del Sud, s’impone la necessità di cercarsi un lavoro all’estero. Ma non si tratta solo di questo. Da terra d’immigrazione la Calabria è diventata a sua volta terra di accoglienza per flussi imponenti di africani costretti a espatriare per sfuggire alla miseria e alla guerra in casa propria.

 

A questo fenomeno che interpella le coscienze per il suo costo in vite umane la Fondazione che gestisce il Museo ha dedicato nel 2013 la nuova sezione “Mare Madre”: un container tappezzato di schermi, entrando nel quale il visitatore si trova immerso per otto minuti in frammenti di filmati, suoni, voci, brani di storie, sì da rivivere con gli immigrati di oggi le loro tragiche trasferte attraverso il deserto e il Mediterraneo.

 

Così, coniugando passato, presente e futuro, La Nave della Sila ci ricorda che in fondo siamo tutti sulla stessa “barca”, che ci si salva o perde insieme. Diverse le fisionomie, le lingue, le religioni. Identiche la sofferenza, l’attesa, la speranza.

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