La NATO del 2030 e l’Italia

La guerra in Ucraina ha rimesso al centro la questione dell’Alleanza atlantica che, nel vertice di Madrid di fine giugno, approverà il nuovo concetto strategico che orienterà i 30 Paesi che ne fanno parte fino al 2030. Di cosa si tratta? Un tema non approfondito nel dibattito politico. Intervista a Danilo Mattera, coordinatore dell’Osservatorio sulla difesa Euro-Atlantica del Centro studi Geopolitica.info
Nato archivio vertice 2021 Foto Filippo Attili/Palazzo Chigi/LaPresse

Della NATO non si parla solitamente, anche se ora la guerra in Ucraina ha reso evidente l’importanza della strategia militare occidentale. I Paesi della NATO approveranno il nuovo concetto strategico 2030 nell’incontro del vertice dell’Alleanza atlantica programmato a Madrid il prossimo 29 e 30 giugno.

Joe Biden (AP Photo/Evan Vucci, File)

Una decisione destinata ad incidere profondamente sulle priorità strategiche dell’Italia con effetti determinanti sul piano della spesa pubblica, eppure manca in Italia un vero spazio di dibattito pubblico sulla questione, anche a livello parlamentare.

La geopolitica sembra, comunque, diventata attraente, come mostra il successo del mensile Limes e le aspre polemiche sollevate intorno alle tesi di Alessandro Orsini, responsabile dell’osservatorio internazionale dell’università di Confindustria.

Esistono inoltre, da tempo, enti di ricerca che lavorano strettamente con le istituzioni pubbliche, contribuendo a fornire una visione ben precisa di politica estera, come ad esempio il centro studi geopolitica.info coordinato da Gabriele Natalizia, professore associato di Scienza politica presso Sapienza Università di Roma nonché, tra molto altro, collaboratore del Centro alti studi della difesa (CASD) e coordinatore del modulo di Organizzazioni internazionali del Corso superiore di Stato Maggiore interforze (ISSMI).

Il centro studi Geopolitica.info si avvale del lavoro di ricerca di un nutrito numero di ricercatori tra i quali in dottor Danilo Mattera, coordinatore dell’Osservatorio sulla Difesa Euro-Atlantica che si propone di «alimentare il dibattito in Italia sulla NATO e sulla Difesa Europea».

Summit NATO foto Ap

Per avere un’idea dell’orientamento atlantista del centro studi leggere è utile leggere il titolo ( “Come difendere l’ordine liberale?”) del recente festival di geopolitica promosso assieme a tre università romane con il sostegno dell’unità di analisi del Ministero degli Affari esteri.

È, perciò, molto interessante conoscere tale punto di vista grazie alla disponibilità offerta da Geopolitica.info con questa intervista concessa da Danilo Mattera.

Nonostante il lavoro come quello del vostro centro studi, in gran parte accessibile pubblicamente, che tipo di consapevolezza mostra di avere, a vostro parere, la politica italiana nel varo del nuovo concetto strategico 2030?
Data la rilevanza che l’Alleanza Atlantica assume all’interno della politica estera del nostro stato – rimarcata in più occasione anche dal presidente del Consiglio Mario Draghi – c’è da attendersi che parte dei politici italiani guarderanno con particolare attenzione a quanto si deciderà nel prossimo vertice alleato di Madrid. È ipotizzabile, inoltre, che anche l’opinione pubblica italiana sarà più interessata agli sviluppi in casa NATO. È innegabile, infatti, che i dibattiti sul conflitto attualmente in corso abbiano riacceso l’attenzione sulla storia e sul futuro dell’Alleanza. Come accennava in precedenza, Geopolitica.info ha avviato un ampio programma di divulgazione e analisi in vista dell’adozione del nuovo concetto strategico. Tra le diverse iniziative, citerei il volume Verso un nuovo Concetto Strategico NATO: prospettive e interessi dell’Italia edito da Edizioni Nuova Cultura e lo speciale Prossima Fermata: #NATO2030 dell’Osservatorio sulla Difesa Euro-Atlantica  “Faro Atlantico”.

Cosa comporterà in termini di spese e investimenti di lungo termine per il nostro Paese?
Sul punto delle spese, invece, credo sia ancora prematuro parlare di eventuali ricadute in questo senso. Solo l’effettiva adozione del nuovo documento farà chiarezza su questo punto. Al di là di quanto si deciderà prossimamente, però, la partecipazione dell’Italia all’acceleratore per l’innovazione dell’Alleanza (Defence Innovation Accelerator for the North Atlantic – DIANA) potrà rappresentare un’importante occasione per accrescere ulteriormente la base industriale e tecnologica del nostro paese.

A quali minacce alla sicurezza dovrà badare il rafforzamento dell’Hub per il Sud presso il Comando Interforze Alleato di Napoli?
La complessa realtà della regione MENA (Medio Oriente e Nord Africa)  porta con sé una vasta gamma di potenziali minacce, dal terrorismo ai traffici illeciti di esseri umani, fino alle ricadute sulla sicurezza riconducibili al cambiamento climatico. In questo senso, l’attività di monitoraggio e promozione del dialogo svolta dall’Hub – attivo dal 2018 – risulta fondamentale per la valutazione degli eventuali pericoli provenienti della regione e altresì funzionale alla piena realizzazione di un approccio di difesa e sicurezza olistico in sintonia con l’attuazione dei tre core task dell’Alleanza (difesa collettiva, gestione delle crisi e sicurezza cooperativa).

A partire dal caso Afghanistan non è evidente la funzione gregaria dei diversi Paesi verso la direzione dell’Alleanza da parte degli Usa?
Le drammatiche immagini dello scorso agosto hanno riportato in auge l’idea di un’alleanza dominata dalle priorità strategiche degli Stati Uniti. Per quanto sia innegabile riconoscere agli Stati Uniti una posizione di assoluta rilevanza all’interno della compagine atlantica, risulta complesso affermare che tale rilevanza si configuri come una totale soggezione degli alleati nei confronti della posizione di Washington. La mancata partecipazione dell’Alleanza come organizzazione alla campagna statunitense in Iraq è solo uno dei casi più celebri della problematica correlazione tra volontà statunitense e azione alleata. Ritornando al caso afghano, la decisione dei ministri degli Esteri e della Difesa degli stati membri di ritirare le truppe NATO dal teatro risulta emblematica della volontà condivisa di non procedere oltre con la missione.

Perché in Occidente si afferma che la decisione di espandere la Nato verso Est non ha rappresentato una minaccia per la Russia?
Poiché l’ingresso di nuovi membri nell’Alleanza non si configura come un’azione ostile nei confronti della Russia quanto piuttosto come l’espressione della volontà di uno stato di entrare a far parte di una comunità caratterizzata dai valori propri del Trattato di Washington. La logica non ostile dell’accettazione di nuovi membri all’interno dell’Alleanza diviene ancora più evidente se si fa riferimento a quanto stabilito nel principale documento sulle relazioni tra l’Alleanza e la Federazione Russa, ovvero il NATO-Russia Founding Act. Nella sezione IV del trattato firmato a Parigi nel maggio 1997, gli stati membri dell’Alleanza si impegnarono a non dispiegare armi nucleari – escludendo altresì l’eventuale costruzione di strutture in grado di contenerle – sul territorio di nuovi stati membri.

L’ingresso degli stati orientali sarebbe iniziato solo due anni dopo, nel 1999. Alla scelta sulle armi nucleari si aggiunse anche la volontà di non incrementare il numero di truppe convenzionali presenti nei nuovi membri: una decisione poi rivista a seguito dell’annessione della Crimea del 2014. Secondo quanto affermato da alcuni esperti, gli stessi documenti strategici russi – rilasciati circa un lustro dopo l’ingresso della gran parte degli stati orientali attualmente presenti nell’Alleanza – non consideravano l’espansione della NATO come una “minaccia fondamentale” per la sicurezza di Mosca.

Siamo passati in poco tempo dalla crisi della Nato (“morte cerebrale”) dichiarata da Macron, alla corsa all’adesione all’Alleanza dei Paesi finora neutrali. Siamo davanti ad un segnale di pericolo per uno scontro globale che si può innescare dalla crisi Ucraina?
A dispetto di quanto si possa immaginare, il tema della presunta fine dell’Alleanza non è una novità nella storia della compagine atlantica. Prendendo a prestito i versi di una celebre poesia di John Donne, la campana che dovrebbe annunciare la morte dell’Alleanza suona con certa regolarità dagli anni ’50, più precisamente dalla scomparsa di Stalin. In questo senso, la frase pronunciata dal presidente della Repubblica francese – peraltro poi riformulata in tono propositivo a margine di un incontro con il Segretario Generale Jens Stoltenberg – segnala una questione già nota ai più.

L’invio delle richieste di adesione da parte di Svezia e Finlandia rappresenta una svolta storica nella politica estera dei due stati. L’ottica conservativa alla base della scelta di Helsinki e Stoccolma – testimoniata dalla stessa premier finlandese Sanna Marin in un’intervista al Corriere della Sera – unita alle dichiarazioni rilasciate lo scorso 16 maggio dal presidente russo Vladimir Putin lasciano presagire come l’auspicato ingresso dei due non sia da considerare come un potenziale elemento di escalation del conflitto in corso. In quell’occasione, infatti, Putin ha affermato come l’eventuale ingresso nell’Alleanza dei due stati nordici non sia percepita come una minaccia per la sicurezza russa.

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