«La musica è la chiave degli azzardi»
Non è il pensiero di qualcuno alla notizia della "prima" de La Scala su YouTube e Twitter, ma l'affermazione di Pieangelo Sequeri, curatore della prefazione al libro "Il velo sottile" di Città Nuova: un'ampia disquisizione sull' "anima nascosta" della musica
Ha riaperto in grande stile la sua stagione con il Don Giovanni, ma per quest’anno il debutto della Scala c’è stato anche su Twitter e YouTube. Una Milano sospesa tra innovazione e tradizione musicale secolare e che ha tra i suoi "figli illustri" ha Pierangelo Sequeri. Teologo e compositore, nonché ideatore della "musicoterapia orchestrale", è anche autore della prefazione al libro Il velo sottile di Marie Therese Henderson per Città Nuova. «La musica è la chiave degli azzardi» scrive nell’introduzione – qui in versione integrale –: un viaggio reale nella musica ma anche dell’anima.
«Ho raccolto i pensieri per la presentazione di questo bel libro, nello spazio di una piccola manciata di giorni che sono riuscito a difendere dalle mille incombenze per dedicarmi alla preparazione di un concerto dell’Orchestra Sinfonica Esagramma, composta da musicisti molto speciali, sulle guglie del Duomo di Milano. Proprio sotto la famosa “Madonnina”.
«La lettura del libro di Marie Thérèse Henderson non ha disturbato questa concentrazione. Al contrario, L’Autrice, del resto, come affettuosamente ricorda nel suo scritto, conosce bene la storia dell’avventura di Esagramma: creare spazio, fin dentro il mondo della grande musica, per l’attiva a partecipazione di ragazzi e giovani ai quali sono normalmente riservati piccolissimi traguardi – e talora neppure quelli – nella quotidiana battaglia per un’esistenza degna. Molto opportunamente (anche se lo dico con la consapevolezza della necessaria modestia del confronto) Henderson ricorda, proprio in apertura del suo racconto, esempi anche più illustri. Esempi della storia di ieri e della contemporaneità più recente.
«Essi hanno in comune il medesimo azzardo. E l’emozione indicibile della sua riuscita, ben oltre l’immaginazione stessa che ne ha suscitato lo slancio. Nei luoghi dell’avvilimento degli uomini, ad opera degli uomini, in molti modi la musica ha impedito all’umano di soccombere. Talora gli ha impedito di morire del tutto. Talora lo ha fatto addirittura rinascere, conducendolo ad altezze impensate: fino ai vertici di una qualità della vita – spirituale e artistica – che le carte non lasciavano affatto intravvedere. Riempite di musica, quelle carte hanno incominciato a raccontare di un’umanità perduta e ritrovata: capace di ascoltarsi e di farsi ascoltare. Umanità degna di ammirazione, incantata di una bellezza ignota.
«La musica è la chiave di questi azzardi. L’intento della riflessione di Thérèse Henderson, infine, è quello di rimettere in circolazione l’idea della musica come categoria dello spirito. Per farci riflettere a fondo sulla normalità perduta di questa facoltà dell’anima.
«Una domanda, inevitabile, sta sullo sfondo di questo appassionato racconto. Se la musica è in grado di generare trasformazioni così profonde dello spirito e dei rapporti, in condizioni umane così difficili, e persino estreme, come può essere diventata così marginale nella formazione di base e nella vita del pensiero occidentale? Cito apposta questi due luoghi, la formazione e il pensiero, perché mi rendo conto della facile reazione di molti. Non abbiamo forse una vita musicale rigogliosa e piena di eventi? Non è forse, la musica, l’acqua nella quale i nostri giovani nuotano più volentieri? Oggi, poi, con la straordinaria strumentazione mediatica di cui dispongono, non ce l’hanno sempre nelle orecchie? Infine, chi nega l’importanza della musica, nella nostra società audio-video-connessa?
«Tutto vero, naturalmente. Lo struggimento dal quale nascono libri come questo è tutto nella percezione della distanza che si è accumulata fra usare della musica e pensare con la musica. Insomma, fra quello che la musica potrebbe essere – quello che è realmente – e ciò che la musica è diventata, nonostante tutto, nella nostra cultura e nella nostra vita sociale. Il problema non sta nella questione della differenza fra musica pop e musica classica, o tra musica romantica e musica contemporanea. Il tema è la fuoruscita totale della cultura della musica, in qualsiasi forma, dal concetto della civiltà, della spiritualità, del pensiero. La cultura della musica è una componente fisiologica della struttura relazionale, dell’interiorità sensibile, dell’attitudine riflessiva. Essa offre strumenti di modulazione e di affinamento della mente e del comportamento che, per alcuni aspetti non hanno alternativa specifica. Significa che, senza il passaggio attraverso la musica, queste parti dell’anima perdono semplicemente delle possibilità di evoluzione e di arricchimento, che invece potrebbero avere.
«L’ottusità nei confronti di questa integrazione, che è stata normale per secoli e secoli della nostra storia civile e religiosa, è largamente distribuita e corposamente stratificata: ai piani alti della cultura e della politica, come ai piani bassi (si fa per dire) della sensibilità educativa e sociale. Non riusciamo proprio a far passare l’idea. Quello che passa, al massimo, è un piccolo gruzzolo di luoghi comuni sulla forza socializzante della musica, sull’idea (vaga) della musica come linguaggio universale, sulla capacità della musica nobile di elevare l’anima, creare fratellanza, e via dicendo. Fra gli stessi musicisti di professione non è facile, come potrebbe sembrare, trovare alleati disposti a spendersi per la bontà di questa causa.
«Il carattere specialistico della competenza musicale di tipo professionale o artistico, frequentemente invocato come ostacolo, e come giustificazione del confino della cultura musicale fra le opzioni ludiche o gli hobbies del tempo libero, è una spiegazione debolissima. Anche la matematica, la biologia, o la stessa letteratura, possiedono un livello specialistico delle conoscenze, delle pratiche, dei linguaggi (i geroglifici della matematica sono assai più astrusi di quelli della musica). E tuttavia, un certo grado di frequentazione e di apprendimento specifico, in questi campi, è universalmente giustificato, per solidi motivi, anche a prescindere dalla competenza specialistica o dalla destinazione professionale. La musica, niente. E’ subito nel comparto “emozioni e ricreazioni” (e “fai da te”).
«Libri come quello che vi accingete a leggere, dunque, sono libri coraggiosi. Non si arrendono alla tenacia del pregiudizio, che ci rimpicciolisce il mondo. Le oppongono la tenacia della convinzione, appassionata e ragionata, che allarga la mente. Consapevoli dell’azzardo, raccontano l’universo dell’esperienza musicale dell’uomo in modo scorrevole e vivo. Senza venire a patti con la superficialità, però, in virtù della grande competenza ed esperienza musicale di cui si nutrono, disegnano itinerari persuasivi e non sofisticati per il vostro viaggio al centro della musica. Vi offrono la possibilità di intuire che la cultura della musica è una cosa seria, oltre che un’esperienza felice. La musica è certamente bella da “giocare” (to play, jouer, è anche “suonare”). Però la musica è capace di giocare con cose molto profonde. Nel suo gioco fine è in grado attingere ai nostri corpi sottili, ossia all’aura di tutto ciò che nelle parole, nei gesti, nelle rappresentazioni – nella scenggiatura della nostra vita, nsomma – rimane come in sospeso. E’ come un residuo del tempo vissuto che ha bisogno di essere passato e ripassato, per poter spirigionare tutto il suo senso, la sua intimità, la sua capacità di nutrire lo spirito. L’impatto convulso degli eventi e degli stati d’animo oscura cetre speciali intimità del senso. Il flusso della musica, con la tramatura viva delle sue forme e delle sue forze, passa e ripassa nei luoghi della memoria e dell’imaginazione, in cui si deposita ciò che non è ancora stato compiutamente assimilato nella coscienza e nel pensiero. A poco a poco, ne ridesta gli incantamenti e lo mette in circolo. Essa lavora lungo quella linea in cui la sensibilità e il pensiero si toccano: dove sta quella soglia, in sè inafferrabile, incui non si può più distinguere esattamente l’interno dall’esterno, la realtà dal sogno, il corpo dall’anima, la superficie dalla profondità. Quel luogo è come la linea dell’orizzonte. Dove – in quale punto esatto, nella danza delle particelle che si mescolano – finisce il mare e incomincia il cielo? La musica getta le reti dei suoi ritmi e dei suoi timbri, delle sue figure e dei suoi temi, delle sue armonie e delle sue polifonie. E ogni volta pesca qualcosa. A volte in acque basse, a volte in acque molto profonde. Come ci riesca, è un fatto pieno di enigmi: però, se le dai credito, capisci che lo fa.
«Devi darle credito, sì, perché, a suo modo, la musica ha bisogno di fede. Se non le dai credito, la musica passa, lascia i suoi incanti e le sue eccitazioni come riccioli di spuma che subito svaniscono. Increspa le acque, non pesca niente. Se le lasci fare il suo lavoro – se addirittura partecipi ad esso, suonandolo, ascoltandolo, pensandolo, o anche semplicemente amandolo e incoraggiandolo, avrai delle autentiche sorprese.
«Quasi senza rendertene conto, imparerai a modulare sentimenti e ad armonizzare idee, a percepire i ritmi del gesto e a decifrare i toni della voce, a riconoscere la giustezza dei corpi e delle figure dell’anima, le profondità delle sintonie e delle dissonanze dei viventi: con una precisione di cui non pensavi di essere capace. Di qui, se prendi piacere al racconto della musica, al dialogo e alla parola sulla musica, al confronto sulla decifrazione della musica – del modo di pensarla, di scriverla, di suonarla, di ascoltarla – impari anche parole, gesti e rappresentazioni della vita dello spirito: che, altrimenti, non avrebbero mai fatto parte del tuo vocabolario. Pensate solo a questo. Le parole che indicano una relazione riuscita fra le parti dell’anima, dell’anima con il corpo, degli esseri vienti come delle idee fra loro usa il lessico fondamentale dell’esperienza musicale. Armonia, sintonia, polifonia, contrappunto, ritmo. E la modulazione dei sentimenti, i toni della voce, le cadenze del tempo, come avremmo imparato a descriverle e a comprenderle se non le avesse visualizzate e rese udibili l’esercizio musicale della narrazione del tempo, delle differenze di intensità, dell’eloquenza dei timbri? E come avremmo potuto pensarle e riconoscerle, se non ci fossimo intrattenuti a riflettere e a discorre – a meditare insieme – il lavoro del musicista che ce le restituisce.
«Se possiamo assimilare tutto questo, non ci potrà stupire la percezione – storicamente fuori discussione – del rapporto privilegiato che la musica intrattiene con lo spirito religioso del mondo e della vita. E non troveremo incomprensibile il fatto – storicamente inoppugnabile – che la straordinaria evoluzione del rapporto fra il logos spirituale dell’uomo e i corpi vibranti delle cose, sia proprio la cifra caratteristica di una storia come la nostra. Nella storia dell’Occidente l’incarnazione del Logos ha messo radici nella cultura e plasmato un’intera civiltà, nel segno – inedito – dell’attitudine sirituale del sensibile. La musica ne ha fatto lievitare la storia e l’intreccio: giungendo, in tal modo, ad un’inedita coscienza e conoscenza di sè. Di questo intreccio sono evocate e riconosciute, in questo saggio, le persuasive ragioni. Del resto, è proprio nell’esercizio musicale della testimonianza cristiana di questo dono dall’alto, che questo libro si è concepito e generato».
.