La musica del silenzio
Tutto è bene ciò che finisce bene, dice Shakespeare. In effetti è finita bene per la canzone di Paul Simon, Sound of Silence. Ma i presupposti erano di tutt’altro tipo e avrebbero fatto infuriare più d’un musicista. Vediamo i fatti: Simon compone la canzone The sounds of silence scrivendola di getto, senza pensarci su, come capita a tanti capolavori. Lui sapeva d’aver colto qualcosa di grande, in quella canzone.
Entusiasta, la pubblica nel 1964, in versione acustica, cantandola insieme ad Art Garfunkel. Ma non è un successo, anzi la canzone finisce nel dimenticatoio e il duo Simon & Garfunkel per la delusione si scioglie. Poi un produttore, un certo Tom Wilson, s’accorge delle potenzialità del brano e senza neppure interpellare autore ed esecutori, fa incidere sopra la traccia originale alcuni strumenti elettrici e la batteria, secondo il gusto folk-rock del momento. Quando Simon sente la nuova versione, storce il naso e s’infuria per la manipolazione fatta a sua insaputa. Ma il singolo, che intanto è uscito nella nuova versione, ha un successo strepitoso.
Arriva in testa alla classifica americana, giungendo al primo posto il giorno di Capodanno del 1966. In breve tempo diviene un successo mondiale. E costituisce il lancio del ricostituito duo Simon & Garfunkel. Sbarca al cinema: accompagna la scena finale de Il laureato, l’indimenticabile fuga sull’autobus di Dustin Hoffman e Katharine Ross. Si trasforma in colonna sonora d’una generazione. Paul Simon accompagnandosi con la sola chitarra la canta a Ground Zero nella commemorazione dei 10 anni dell’attentato, in un silenzio commosso che si può quasi toccare. Ed oggi Sound of Silence compie 50 anni. Tom Wilson ci aveva visto lungo. Insomma, aveva ragione Shakespeare: tutto è bene ciò che finisce bene.
Perché questa canzone è rimasta nel cuore della gente? Non sembra nulla di che, è così musicalmente semplice, snocciola accordi come una cantilena. Ma – un po’ come Yesterday dei Beatles, come Blowin’ in the wind di Dylan, come As tears go by dei Rolling Stones, come Imagine di Lennon –, ha i connotati del capolavoro. Perché tocca le fibre dell’anima di molta gente, le fa vibrare. Perché la semplicità della musica s’unisce in matrimonio alla poesia delle parole e ne fa una cosa sola, come lo sposo e la sposa: non ci sono più il testo e le note, non puoi più distinguerle, sono diventate uno. Perciò ti toccano l’anima.
Hello darkness my old friend… ciao oscurità mia vecchia amica… così inizia la canzone. È una canzone che parla del disagio giovanile di comunicare, dello smarrimento di fronte agli altri. Ma forse di più: parla del disagio delle parole, di quelle che udiamo e di quelle che ci escono dalla bocca. Perché, se siamo sinceri, non sono mai come vorremmo: non intendono quasi mai quello che veramente, dal cuore, vorremmo dire; non portano quasi mai il messaggio che aspetta il nostro cuore.
Allora, per delusione delle parole, o si diventa banali o ci si ritira, nascondendosi nel silenzio. Ma si potrebbe anche fare qualcos’altro: assaporando il sound of silence, la musica del silenzio, la poesia del silenzio, ritrovare in esso le motivazioni più vere per dire solo le parole che vorremo dire, e per accettare di udire solo quelle di cui abbiamo bisogno.