La moschea e il perdono di Dio

Ogni volta che si è imprigionato Dio  e lo si è usato per il nostro desiderio di potere, la violenza è stata incontenibile. È questo il rischio di idolatria per ogni credente per giustificare e alimentare la guerra. I crocifissi sono i minores, che non hanno gli eserciti ma la fede semplice e disarmata di chi sa che la storia non è del potere. Davanti alle vittime di Sous dobbiamo dire che senza perdono non solo non c’è futuro, ma non c’è neanche umanità
ansa tunisia

La tragedia di Sous  è ancora nei nostri cuori. Le 39 vittime innocenti e i 35 feriti. E poi il dolore indicibile di un presente e di un futuro che hanno sempre di più il volto dell’abisso del male. Uno dei giovani, che ha compiuto questa tragedia, studiava ingegneria e leggeva il corano.

Non è improprio pensare che anche lui abbia frequentato la moschea di Sous, che ha come nome “il perdono di Dio”. L’esatto contrario di tutto quello che è accaduto il 26 giugno sul mare e sulla spiaggia sfolgorante di questa città turistica.

Dunque dal perdono di Dio al suo sfiguramento, nella morte dell’innocente e degli innocenti. Questa è la questione radicale, che riguarda la vera idolatria, che tocca il credente: l’impossessarsi di “dio” il suo piegarlo al nostro desiderio di potere assoluto. Questa è il nodo dei nodi, che nel tempo ha toccato con modalità e in situazioni diverse l’ebraismo, il cristianesimo e infine l’islam. Ogni volta che si è imprigionato Dio  e lo si è usato per il nostro desiderio di potere , la violenza è stata incontenibile.

In questo modo “dio” è diventato un idolo e si ciba della violenza che si compie nel mondo. Il perdono diventa una parola indicibile, da cancellare per garantire la nostra sopravvivenza. Si torna al tempo di Lamec e bisogna risalire a prima della legge del taglione. 

Abbiamo sentito ritornare il linguaggio della crociata e dei crociati, per indicare il nemico, per giustificare ogni lutto, per alimentare la guerra.

Papa Francesco, nei tre messaggi ai governi toccati da questa carneficina, che dalla Tunisia, alla Francia ,al Kuait, fino alla Somalia, ha seminato morte, condanna la violenza ,invoca il dono della pace da parte di Dio, è solidale con le vittime.

Dice Gesù nel vangelo, “quando accadranno tutte queste cose, convertitevi se no perirete tutti”.. Ecco l’appello alla conversione: la conversione da crociati a crocifissi, la conversione alla vita.

 I crociati sono coloro che fanno di Dio e del suo mistero, l’idolo per uccidere, devastare sottomettere  e sottomettersi agli arconti del  mondo. Basti pensare alle mille volte in cui si è giustificata la guerra in nome della fede, con gli esiti che tutti conosciamo di barbarie e di lutti. Si usa “dio” per sdoganare la guerra. Questo è il grande peccato di idolatria, che attraversa le grandi religioni monoteiste e che entra nella sinagoga,nella chiesa e nella mosche

I crocifissi sono i piccoli della storia, i minores, che si consegnano per rendere luminoso il volto di Dio. Non hanno gli eserciti, ma hanno la fede semplice e disarmata di chi sa che la storia non è del potere, ma del Dio misericordioso. Sono coloro che vivono le parole scandalose di Dio, come la parola del perdono, della misericordia, della fraternità come parole efficaci, capaci di cambiare la storia,cambiando i cuori di molti.

La guerra oggi non è primariamente un problema di politica ma di fede. Questo vale per i musulmani, ma anche per i cristiani e per gli ebrei. L’idolatria è la grande tentazione. La guerra prende il posto di “dio” e lo usa nella sue battaglie: la guerra come unica politica e, alla fine, come unica fede, che appare come l’ anticreazione che distrugge la terra e uccide le persone .

Il nome di quella moschea, “il perdono di Dio”, ci ricorda che Dio è totalmente altro e non si fa catturare dalle astuzie di un potere demoniaco, non si pone al suo servizio. Quel nome, proprio in quella città e in quella terra, ci impone di credere che il perdono è il nome stesso di Dio, il suo mistero e la sua profondità.

Davanti alle vittime di Sous dobbiamo dire che senza perdono non solo non c’è futuro, ma non c’è neanche umanità.

E’ quello che l’otto giugno del 2014 papa Francesco, Bartolomeos, Abu Mazen e Simon Peres hanno fatto aprendo la porta della preghiera alla sofferenza delle vittime di tutto il Medio Oriente.

Quella porta che ha il nome del perdono di Dio non si può più chiudere. Ce lo ricorda anche la moschea di Sous, come quella di Kuwait city. È tenuta aperta dalla fede dei piccoli di ogni terra, di coloro che anticipano il tempo nuovo della pace.  

Il papa ci ricorda che il cristiano non si difende ma si consegna. Anche nel tempo più difficile della persecuzione il cristiano non si affida alle armi, ma alla fede. Non è chiamato alla vittoria ma al martirio.

Cosi si è espresso nella omelia per la festa dei santi Pietro e Paolo a fronte «delle atroci, disumane, inspiegabili persecuzioni, purtroppo ancora oggi presenti in tante parti del mondo,spesso sotto gli occhi e nel silenzio di tutti,vorrei invece oggi venerare il coraggio degli apostoli  e della prima comunità cristiana:il coraggio di portare avanti l’opera di evangelizzazione, senza timore della morte  e del martirio,ne contesto sociale  di un impero pagano;venerare la loro vita cristiana ,che per noi credenti di oggi è un forte richiamo alla preghiera,alla fede  e alla testimonianza».

La vera alternativa alla paura non è la sicurezza ma la fede. Lo diciamo di fronte a questo terrorismo islamico, contro i musulmani e contro tutti, che attraverso la sua guerra asimmetrica e mediatica ci vuole catturare il cuore e imporre comportamenti ispirati dalla angoscia della morte..

La fede per sconfiggere la guerra, la fede per cacciare la paura. Ecco la vera via dei piccoli di Dio

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