La morte di Raffaello
È il venerdì santo 1520, 6 aprile. Nelle chiese a Roma si celebrano i riti della Passione di Cristo e a Palazzo Caprini Raffaello da Urbino, come tutti lo chiamano, è in agonia. Se ne sta andando proprio nello stesso giorno in cui è nato, il venerdì santo del 1483, a 37 anni.
Eppure il 25 marzo stava ancora bene, aveva firmato un documento e lavorava accanitamente alla Trasfigurazione per il cardinale Giulio de’ Medici, cugino di papa Leone X. Il pontefice fiorentino predilige Raffaello su tutti gli altri artisti che affollano la sua corte, Michelangelo compreso. Per lui il pittore ha dipinto gli arazzi che decorano la Cappella Sistina nei giorni solenni, ha tracciato una pianta dei monumenti antichi romani per preservarli dalla distruzione – la prima nel mondo –, ha dipinto le Logge e sta lavorando alle ultime Stanze in Vaticano con l’équipe di giovani talenti che egli incoraggia in ogni modo. Raffaello non è né un geloso, nè un solitario: è socievole, cortese, amato da tutta Roma e dagli artisti più importanti, come il tedesco Durer.
Forse, lavora troppo. Il giovane delicato dell’Autoritratto fiorentino agli Uffizi è diventato un pittore cortigiano esperto, ma affaticato. Nell’ultimo Ritratto con un amico (al Louvre, oggi in mostra alle Scuderie del Quirinale) ha gli occhi stanchi, le palpebre pesanti, il viso gonfio. Non si direbbe il ritratto della salute.
Improvvisa, gli arriva la febbre. Che non scende. I medici gli cavano sangue, come si usa, ma sbagliano: lo indeboliscono ancora di più. Raffaello non ha la costituzione forte di un Michelangelo. Avvisano il papa, che si agita e chiede di continuo notizie del pittore amico.
Raffaello capisce che è giunta la sua ora: fa testamento, lascia un patrimonio notevole, è molto ricco, e generoso verso gli allievi e verso il cardinale Bibbiena, di cui avrebbe dovuto sposare la nipote. Gli allievi sollevano davanti al letto del morente la tavola della Trasfigurazione di Cristo, forse l’ultima luce che vede. Il giorno dopo viene sepolto al Pantheon, nella tomba che ha progettato da tempo, tra la disperazione degli uomini colti, dei discepoli e di tutta Roma. Papa Leone è sconvolto. Dicono che ci sia stato un terremoto come quando morì Cristo, che ha scosso il palazzo vaticano.
Nasce la leggenda. Come quella citata dal Vasari che Raffaello sia morto per eccessi amorosi, mentre forse più prosaicamente è stato portato via dalla malaria, che da secoli faceva morire la gente e i pontefici, senza guardare in faccia nessuno (come succederà a Leone X a 46 anni l’anno dopo, e al banchiere Chigi cinque giorni dopo).
Si spegne un genio, il Rinascimento nel suo stato puro, assoluto. La desolazione in Europa è grande e la glorificazione o meglio la santificazione (si narra che il papa l’avrebbe voluto creare cardinale) ininterrotta, specie nell’Ottocento. Resta il mistero della morte rapida e inattesa.
Oggi l’Italia ricorda Raffaello con una maratona radiotelevisiva continua. Si celebra la forza della bellezza attraverso Raffaello. La Bellezza vince anche sulla pandemia da Coronavirus.