La morte di un disabile e la disabilità della politica

Raffaele Pennacchio è deceduto davanti al Ministero dell’economia dopo un incontro istituzionale in cui chiedeva di rifinanziare l’assistenza ai malati di Sla. La nostra società “arrogante e prepotente” sa ancora chinarsi di fronte al dolore? E come applica la Costituzione che prevede l’inclusione di tutti?
Un disabile

«Fate presto. Noi non abbiamo più tempo». Ecco una delle ultime frasi del dottor Raffaele Pennacchio, scoppiando in lacrime, a conclusione di una trattativa drammatica al ministero per rifinanziare l’assistenza ai malati di Sla e alle loro famiglie, per permettere loro di vivere la malattia  a casa per viverla meglio e con minori costi per il paese.

Raffaele è morto di infarto, spezzato e umiliato da un combattimento senza fine non solo con le istituzioni, ma anche con un Paese, che contraddicendo alla Costituzione, mette ai margini le persone più ferite, quelle che rivelano una società arrogante e prepotente, incapace di inginocchiarsi di fronte a questo dolore civile, perdendo così anche l’anima

Quel grido a fare presto mostra che il tempo della dignità è un tempo che si fa breve, che si accorcia sempre, perché non solo la malattia non da tregua, ma anche perché l’umiliazione diventa impossibile e insopportabile da portare.

I  disabili corrono, mentre la politica è lenta. La politica non è solo lenta, ma è anche stupida. Quando i disabili pongono una questione vengono rinviati sempre ai tecnici: mai un ministro, talora un viceministro come questa volta, spesso un sottosegretario e alla fine niente di meglio che i tecnici di ministero mentre ciascuno avrebbe da imparare dal dolore di queste persone, in primis il ministro e il presidente del consiglio.

I disabili vengono derubricati a piccole lobby, da contentare con qualche mancia, oggi sempre più ridotta e non si vuole riconoscere che la questione dei disabili è oggi la misura dell’applicazione e del rispetto della Costituzione. Quando i disabili vengono collocati all’ultimo posto nella scala dei diritti delle persone si viola e si distrugge la Carta fondante del nostro stato. La comunità civile, che la Costituzione pensa, prevede l’inclusione di tutti, partendo dai disabili, dai minorati, secondo l’antica terminologia presente in Costituzione. Un termine di origine francescana, che usa il termine minores, minori, minorati come coloro che non contano nulla. E Raffaele non contava nulla per una politica autoreferenziale, solo che la sua morte scandalosa e sorprendente  ha reso visibile la morte della politica.

Una politica davvero disabile, muta di verità, cieca nelle soluzioni, zoppa rispetto ai tempi di chi soffre. Nel momento in cui Raffaele è morto, la politica ha dimostrato tutta la sua impotenza a rispondere alla vita dei suoi cittadini migliori.

Un anno fa, alla metà di novembre 2012, partecipavo ad un’ennesima manifestazione di malati di Sla a Roma, davanti al ministero ad esibire il dolore per sperare di cambiare la vita di tante persone. Esibire  il dolore è al tempo stesso insopportabile e necessario per vincere una causa che tocca molti. Lì ho incontrato Raffaele, sempre sulla strada per cambiare la politica..

Oggi la sua morte fa scandalo perché rende manifesto il potere con i suoi ritardi e fallimenti. Sono milioni le persone disabili in Italia che domandano cura, che vanno a scuola, che cercano lavoro, che vogliono amare ed essere amati, che chiedono diritti e vivono doveri senza cercare privilegi, né farsi clientele del potere.

La risposta di presidenti del consiglio, di sindaci e presidenti di regione è troppe volte umiliante e residuale. Addirittura certi sindaci incatenano le piazze per rendere più agevole (si fa per dire) la vita dei disabili, a cui si chiede se possibile di stare a casa. E quando, come in questo caso,  vogliono vivere a casa, per vivere meglio glielo si impedisce attraverso la scarsezza delle risorse. Raffaele è la parabola delle persone disabili in Italia: un grande senso di dignità civile di fronte ad una società cieca muta e zoppa, di fronte ad una politica che ha perduto, forse per sempre, visione e amore dei deboli. 

Giorgio la Pira ha scritto, in un altro tempo su «le attese della povera gente» , oggi bisognerebbe scrivere sulle attese delle persone disabili.  Ma Raffaele ha deciso di non avere più tempo e ci precede e ci chiede, senza urlare, ma con la fermezza del cuore, di fare presto. È il suo ultimo appello alla politica, perchè si converta e faccia presto. È un appello alla resistenza civile di tutti i disabili, per affermare la forza mite dei loro diritti.

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