La montagna sacra

«Non puoi vedere il Rodope con gli occhi, devi vederlo col cuore». La principale catena montuosa della Bulgaria al centro di un epico romanzo di Anton Dončev
Monti Rodopi

Secondo la mitologia greca, i Monti Rodopi prendono il nome dalla regina Rodope di Tracia, trasformata in montagna da Zeus ed Hera per punizione, e sono luogo di nascita del leggendario cantante e suonatore di lira Orfeo e di sua moglie Euridice. Così vengono descritti da Wikipedia: «Sono una catena montuosa nell’Europa meridionale, compresa per più dell’83 per cento nell’area della Bulgaria meridionale e per il resto in Grecia. La cima più alta della catena, il Goljam Perelik (2.191 m.s.l.m.), è la settima vetta più alta della Bulgaria. La regione è particolarmente importante e nota per le aree carsiche presenti, con le loro profonde gole solcate da torrenti, ampie caverne e particolari forme di scultura naturale, come quelle della gola di Trigrad. I Rodopi coprono un’area di più di 14.737 km quadrati, con un’altitudine media di 785 m.s.l.m. Le autorità hanno istituito ben 15 riserve naturali nella regione, alcune delle quali sono sotto la protezione dell’Unesco. Sono presenti numerose sorgenti d’acqua minerale, le più famose delle quali sono Velingrad, Devin e Narečen».

Ben diversa è la descrizione data dallo scrittore bulgaro Anton Dončev nel bellissimo Manol e i suoi cento fratelli, romanzo ambientato nel XVII secolo quando la Bulgaria cadde sotto la dominazione turca e gli abitanti di villaggi e città dovettero scegliere, pena la morte, tra Maometto e Cristo. Un grande romanzo epico, che gronda sangue e poesia, nel quale il medesimo avvenimento – la distruzione e l’islamizzazione della valle di Elindenja nei Rodopi, avvenuta nell’estate del 1268 – viene descritto da due diversi punti di vista: dal monaco Pop Aligorko e da un gentiluomo francese soprannominato “Il Veneziano”, fatto prigioniero dai turchi a Candia e convertitosi all’Islam.

Domina tutta l’intricata vicenda il Rodope, simile ad una madre che assiste impotente all’agonia dei suoi figli. Nel brano che segue i cristiani dei villaggi annidati nelle valli e lungo i fianchi della montagna sacra fuggono davanti ai soldati di Karaibrahim che hanno appiccato il fuoco alle sue secolari foreste:

«E noi non potevamo vedere la Tracia Egea, il Pirin, il Rila e il Balcano, ma guardavamo il cuore del Rodope, cinto da un anello di fiamme. E c’era molto da guardare, perché il Rodope è una grande montagna, e possiede un grande cuore.

«Cima dopo cima e cresta dopo cresta erano allineate a sud, a ovest e a nord di noi. E nel crepuscolo azzurrino la montagna assomigliava a un mare ghiacciato e i pascoli giallicci assomigliavano a macchie di schiuma, e i boschi verde cupo sembravano abissi marini. E noi vedevamo soltanto le creste dei marosi, ma le valli e i fiumi che vi scorrevano nel mezzo, non si vedevano. E le alte cime celavano nuove cime dietro di loro.

«Non esiste uomo che possa abbracciare il Rodope con un solo sguardo. Non esiste cima, su cui tu ascenda, che tu possa riconoscere con un solo sguardo. Dovrai percorrerla soffrendo passo a passo, e poi raccoglierla nel tuo cuore e guardarla; ma devi avere un cuore d’aquila. Non puoi vedere il Rodope con gli occhi, devi vederlo col cuore. Con gli occhi chiusi, in spirito.

«E i pastori guardavano il Rodope, e io guardavo i loro volti scolpiti nel vento. E vedevo che i loro sguardi erano rivolti all’interno. Non guardavano soltanto le ombre pallide dei pascoli e le cupe ombre della foresta, non vedevano soltanto i marosi e gli abissi; i loro piedi stavano calcando i sentieri che avevano calcato migliaia di volte fino allora, salivano cima dopo cima e si affacciavano ai precipizi, attraversavano i campi dei quali conoscevano ogni pietra, e le foreste di cui conoscevano ogni tronco. E le piante dei loro piedi sentivano l’erba dura, e le loro fronti si facevano strada fra i rami degli abeti. E le loro labbra sapevano il gelo dei torrenti del Rodope, e i loro petti erano gonfi delle sue canzoni. I suoi boschi erano pieni di alberi da cui avevano intagliato le culle dei loro figli, piena era la sua terra delle ossa dei loro padri.

«Il vento si rinforzava, lo stridio dei grilli si faceva sempre più affannoso e le bestiole si nascondevano nelle fenditure delle rocce per non farsi portare via dal vento. Ma i pastori restavano col viso rivolto al vento e nessuno batté ciglio, nessuno parlò. Di tanto in tanto strideva un grillo ai nostri piedi e il suo stridio sovrastava sul lamento generale di tutti gli altri grilli lontani, come una goccia pesante che cadesse a intervalli regolari su un torrente in piena.

«E il Rodope bruciava. Bruciavano i suoi piedi, bruciavano le sue chiome. Era una donna, una madre per loro, perciò i pastori la chiamavano Rodopa e si adiravano se qualcuno diceva “i Rodopi”. Poiché molte montagne sono amate meno di una montagna sola. Il Balcano è il padre dritto e robusto, come deve essere ogni individuo maschio; il Rodope è la madre, la quale concepisce e partorisce giacendo sul dorso, con gli occhi al firmamento. Il figlio compiange il proprio padre, ma lo compiange come si compiange un uomo. Il figlio compiange la propria madre come si compiange una donna. E i dolori di una madre si risentono più profondamente.

«Ma quegli uomini erano davvero figli del Rodope? O non erano essi la montagna stessa e il fuoco non ardeva forse i loro piedi, e il fumo nero non riempiva forse di lacrime i loro occhi?».

Che ve ne pare? Ci si guadagna a visitare un sito in compagnia di un grande scrittore!

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