La moltitudine silenziosa che muove il Paese
La pretesa dell’indagine sociale ed economica offerta dal Censis è sempre quella di descrivere nel profondo le linee di tendenza della società italiana. La complessità della realtà da indagare non può essere ridotta ai numeri di un sondaggio, ma alla loro interpretazione che si avvale del patrimonio di dati del “Centro studi investimenti sociali”, che abbraccia almeno un cinquantennio.
La novità del lavoro su “I valori degli italiani”, datato 2011, consiste nel fatto che registra una notevole inversione di tendenza con un equivalente studio del 1988. Quasi a certificare la fine di un ciclo. Dall’Italia contadina del dopoguerra che aumenta i consumi del 293 per cento nel 1961, alla vitalità di una soggettività individuale che rifiuta gerarchie consolidate e trova un riscontro nell’affermarsi di una diffusa imprenditoria, piccola e anche piccolissima.
I valori di tendenza registrati nel 1988 sono il culmine di quel fenomeno che Giuseppe De Rita, fondatore del Censis, definisce come «individualismo di massa», che ha prodotto un «disastro antropologico, fatto di pulsioni sregolate, di solitudini e ripiegamenti su sé stessi, di immobilismo in un eterno presente», per citare la prosa sempre ricca e stimolante a cui ci ha abituati l’autorevole centro di ricerca, che resta un interlocutore costante dei vari governi della Repubblica, a prescindere dal colore politico.
La mappa dei riferimenti etici degli italiani nel 2011 segna una discontinuità notevole con quella del 1988. Coloro che si definiscono credenti passano dal 45 al 65,6 per cento, mentre gli agnostici scendono dal 12,9 all’8 per cento. Cresce anche la percentuale di coloro che dichiarano di avere un maestro o modello di riferimento (dal 36,8 al 59,2), primo fra tutti il padre (dal 14,7 al 22.1 per cento), con la ricomparsa addirittura del padre spirituale (da 0,8 al 3,4 per cento). Indicazioni che si associano all’idea diffusa sul permanere di una forza spirituale intesa come «tensione etica» ancora esistente tra gli italiani (dal “molto” per il 17,7 per cento all’“abbastanza” del 51,1 per cento).
Non si tratta di un generico spiritualismo individuale, ma della riscoperta di una prossimità possibile che si evidenzia con la priorità assegnata alle “cose che servono ora all’Italia”: tra più scelte possibili, spicca la moralità/onestà (55 per cento), il rispetto per gli altri (53,5 per cento) e la solidarietà (33 per cento). La gran parte degli italiani ritiene di prendersi cura del bene comune (“sempre” per il 35,8 per cento, “spesso” un realistico 52,8 per cento) e propende in buona maggioranza (il 57,3 per cento) per diminuire la corsa al consumo fine a sé stesso. Alcuni comportamenti, invece, sono sempre più considerati negativi e meritevoli di sanzione. Dall’uso di alcol (76,3 per cento) alle droghe pesanti (89,1 per cento) e leggere (73,3 per cento), dalla guida pericolosa (87,1 per cento) alla prostituzione (71,5 per cento), senza tralasciare il consumo di sigarette (52,2 per cento) e anche di cibo ipercalorico (47,2 per cento).
Tra le “cose che contano davvero per gli italiani” emerge la centralità della famiglia, sia quella costituita (88,6 per cento) che quella in cui si è nati (85,3 per cento). Un dato che, letto assieme agli altri indicatori, pone l’appartenenza familiare non come un nido consolatorio di un “clan”, ma la base del legame sociale orientato verso la costruzione del bene comune.
Non sono perciò segni di una società spaventata e bisognosa di certezze, che ha bisogno di un’etica imposta dall’alto, perché, come dice De Rita, «l’individuo riscopre l’altro perché ha toccato il limite della sua soggettività incompleta». La ricerca conferma il vissuto di tantissime realtà diffuse su tutto il territorio e che non ricevono attenzione adeguata dai media. La direzione di una nuova etica pubblica può ripartire, secondo il Censis, dal «ridare peso e valore alle cose belle, non solo cristallizzate nel nostro patrimonio artistico, ma anche dentro le relazioni con gli altri. È la moltitudine silenziosa di belle persone la forza che muove il Paese», alla ricerca di «qualcosa o qualcuno che le dia riconoscimento».
Ci sono quindi tutte le premesse perché, dopo 150 anni da un’unità politica controversa, si arrivi a una coscienza di «uno stare assieme che non sia determinata dalla corsa al benessere», ma a partire dall’«etica del limite», fondata sul riconoscimento dell’altro. Parole precise, quelle usate dal Censis per richiamare la necessità di rifuggire la «finta morale» del buonismo, che omette ogni «riflessione su cosa sia giusto e cosa invece con lo sia», per riscoprire invece l’etica basata sulla «prossimità».
Tanti segnali di una svolta possibile nel pieno di una crisi dove il 61 per cento degli italiani si sente insicuro e il 51 per cento dei giovani dai 18 ai 29 anni ritiene che sarà costretto a lasciare l’Italia per avere un futuro. Lo stesso Paese, comunque, che la gran parte degli italiani (56 per cento) ritiene ancora il miglior posto dove vivere.
Elementi che, alla fine, servono per porre in evidenza la grande questione del governo effettivo della Nazione. Il Censis vede tre momenti decisivi nel dopoguerra in cui i tecnici hanno gestito la cosa pubblica ricevendo una delega dalla politica. Al momento della ricostruzione, nella fase della crisi economica del 1992-1995 e in quella attuale. Ma mentre nei casi precedenti questa élite riconosciuta ha esercitato una funzione in maniera discreta, questa volta siamo davanti a un possibile cambio di paradigma, e cioè al ritorno della prevalenza di un ceto superiore, destinato a dare la linea a una maggioranza frastornata e subordinata. Soluzione che sarebbe, come osserva il Censis, un oggettivo ritorno indietro davanti a un’esigenza fortemente avvertita di arrivare a decisioni condivise e partecipate. Basta dare uno sguardo ai grandi temi che saranno affrontati nei prossimi decenni (dal lavoro alle grandi opere) per comprendere quale sarà la forza effettiva di un nuovo legame sociale che la ricerca del Censis invita a riconoscere.