La mitezza che cambia il mondo

Il discorso della montagna è all’inizio della missione di Gesù; si apre con le beatitudini. Questo mese ci è proposta la terza delle otto beatitudini: Beati i miti perché erediteranno la terra. Chi è il mite? È colui che non si irrita davanti al male e non si lascia trascinare dalle emozioni violente. Egli sa dominare e imbrigliare le proprie reazioni, soprattutto la collera e l’ira. La sua mitezza non ha tuttavia niente da spartire con la debolezza o la paura. Non è connivenza col male o con l’omertà. Al contrario, essa richiede una grande forza d’animo, dove il sentimento del rancore e della vendetta cede il posto all’atteggiamento energico e calmo del rispetto degli altri. Con la beatitudine della mitezza, Gesù propone un nuovo tipo di provocazione: porgere l’altra guancia, fare del bene a chi ci fa del male, dare il mantello a chi ci chiede il vestito… Essa sa vincere il male con il bene. A quanti la vivono Gesù fa una grande promessa: … erediteranno la terra. Nella promessa della terra si intravede un’altra patria, quella che Gesù, nella prima e nell’ultima delle beatitudini, chiama il Regno dei cieli: la vita di comunione con Dio, la pienezza della vita che non avrà mai fine. Chi vive la mansuetudine è beato, fin da ora, perché già da ora sperimenta la possibilità di cambiare il mondo attorno a sé, soprattutto cambiando i rapporti. In una società dove spesso impera la violenza, l’arroganza, la sopraffazione, egli diventa segno di contraddizione e irradia giustizia, comprensione, tolleranza, dolcezza, stima dell’altro. I miti mentre lavorano per edificare una società più giusta e più vera – evangelica -, si preparano a ricevere in eredità il Regno dei cieli e a vivere nei cieli nuovi e nella terra nuova. Per sapere come vivere questa Parola di vita basterebbe guardare come è vissuto Gesù, lui che ha detto: Imparate da me che sono mite ed umile di cuore (1). Alla sua scuola la mitezza appare come una qualità dell’amore. L’amore vero, quello che lo Spirito Santo infonde nei nostri cuori, è infatti gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé (2). Sì, chi ama non si agita, non ha fretta, non offende, non ingiuria. Chi ama si domina, è dolce, è mite, è paziente. L’arte di amare traspare da tutto il Vangelo. L’hanno imparata anche tanti bambini. So che giocano con un dado speciale, che chiamano il dado dell’amore. Ogni sua faccia riporta una frase su come amare, seguendo l’insegnamento di Gesù: amare tutti, amarsi a vicenda, amare per primi, farsi uno con l’altro, amare Gesù nell’altro, amare il nemico. All’inizio della giornata lo tirano e cercano di mettere in pratica la parola che viene fuori. Raccontano le loro esperienze. Un giorno il papà di Francesco, un bambino che ha tre anni e vive a Caracas, torna a casa alterato perché ha avuto un contrasto con un collega di lavoro; lo racconta alla moglie e anche lei se la prende con quell’uomo. Francesco va a prendere il suo dado e dice: Tirate il dado dell’amore!. Lo fanno insieme. Sulla faccia del dado c’è scritto: Ama il nemico. I genitori capiscono… Se ci pensiamo bene, ci accorgeremo che ci sono persone che vivono nel quotidiano una meravigliosa mitezza. In grandi personaggi che hanno lasciato questa terra – quali Giovanni Paolo II, Teresa di Calcutta, Roger Schutz – abbiamo visto irradiare la mitezza in modo tale da incidere sulla società e sulla storia, spronandoci nel nostro cammino. (1) Mt 11,29; (2) Gal 5,22.

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