La “missione politica” del papa in Colombia
L’accordo di pace raggiunto tra governo e Farc (Fuerzas armadas revolucionarias de Colombia) dopo 4 anni di negoziati e 52 di conflitto civile è stato un traguardo “storico”, raggiunto anche grazie al sostegno – come ammesso dagli stessi protagonisti – di papa Francesco, che si è speso in prima persona per favorire il processo.
L’appello all’Avana, sede del colloquio, il 20 settembre 2015, ha fatto restare i negoziatori incollati al tavolo, nell’ora di massima frizione. Bergoglio si era sentito tanto coinvolto, da promettere un viaggio in Colombia quando la pace fosse “blindata”. Il momento è arrivato.
Negoziatori, governo, Farc, Parlamento hanno fatto la loro parte. Ora la “palla” passa alla società civile. Solo quest’ultima può trasformare la “pace d’inchiostro” in storia di tutti i giorni. È questa la battaglia più difficile. E la Colombia deve combatterla a guerra finita. Il papa lo sa. Per questo ha deciso di andare nello Stato colombiano proprio adesso, in un viaggio iniziato il 6 settembre, che si concluderà l’11.
Un viaggio anomalo. Non solo perché Francesco attraversa l’Atlantico per recarsi in un solo Paese. Bensì perché il pellegrinaggio ha un chiaro contenuto “politico”. Inteso, però, non come sostegno a una parte contro l’altra. Bensì nel significato evangelico, proprio del linguaggio bergogliano, di arte di costruire ponti, di considerare il tutto superiore alla parte come l’unità al conflitto.
In sintesi, per il pontefice, la politica è la forza di “fare il primo passo” – come recita il motto del viaggio – incontro all’ex nemico. Francesco non può obbligare i colombiani a tale gesto. Può, però, stare loro vicino, sostenerli, rafforzarli in questo momento cruciale della storia. È questo il compito del cristiano, sale della terra e luce del mondo.