La missione di suor Lucia

Aveva chiesto a Maria di poter andare in Paradiso con lei. Ma la Signora più splendente del sole le rispose che sì, Jacinta e Francisco sarebbero stati presto con lei in Cielo ma che Lucia sarebbe rimasta qui più tempo. Gesù vuole servirsi di te per farmi conoscere e amare. Lucia allora le chiese con tristezza : Rimarrò sola?. No, figlia mia – le rispose la Madonna -. Non scoraggiarti. Io non ti lascerò mai. Il dialogo è tratto dalla Memorie di suor Lucia, la più grande dei tre pastorelli di 10, 9 e 7 anni che a partire dal 13 maggio 1917, hanno assistito alle apparizioni mariane di Fatima. In effetti, così è andata. I fratelli Francisco e Jacinta Marto sono morti pochissimi anni dopo, mentre Lucia, che nel frattempo è diventata suora carmelitana, si è spenta domenica, 13 febbraio, all’età di 97 anni, nel convento di Coimbra. Ha dunque dovuto aspettare così tanti anni prima di rivedere il volto bello di Maria e riabbracciare i due piccoli amici con cui ha vissuto questa meravigliosa ma anche difficile avventura. Era la più grande dei tre. Forse per questo è stata scelta per compiere alcune missioni importanti che avrebbero inciso profondamente nella storia della chiesa. Lucia ha dovuto gestire con equilibrio, maturità e fedeltà alla chiesa il peso dei tre segreti svelati dalla Bella Signora ai piccoli veggenti. È stata lei a trascriverli in un manoscritto al papa con una dovizia di particolari ed un linguaggio puntuale che può essere opera solo di una rivelazione mistica. Il testo – che fu gelosamente custodito, dal 1957, nell’Archivio Segreto del Sant’Uffizio – conteneva segreti di una struggente verità storica e soprannaturale che davvero si fa fatica a pensare che siano stati registrati dagli occhi di una bambina. Maria aveva creduto talmente nei tre pastorelli da far vedere loro l’inferno. La visione durò soltanto un momento, durante il quale Lucia emise un ah!. Nei manoscritti, la pastorella annota che, se non fosse stato per la promessa della Madonna di portarli in cielo, i veggenti sarebbero morti per l’emozione e la paura. Poi le premonizioni: la sofferenza del papa, il trionfo del Cuore Immacolato, la conversione della Russia. Fino ad arrivare al terzo segreto – che è stato reso noto al grande pubblico solo nel 2000 – nel quale si parlava del vescovo vestito di bianco che cade a terra come morto e della lotta dei sistemi atei contro la chiesa e i cristiani . Sono segreti che per decenni hanno fatto gola ad investigatori, giornalisti e curiosi dando vita ad una vasta letteratura catastrofica, da imminente fine del mondo, mai avallata da nessuna autorità ecclesiastica. Il particolare che più colpisce oggi, è che quei tre segreti furono affidati alla testimonianza storica di tre bambini. È la logica di Dio per cui le cose grandi del Cielo vengono svelate ai più piccoli. Forse furono proprio la semplicità e l’umiltà di Lucia a spiazzare ogni tentativo di strumentalizzazione mediatica dell’evento, che seppure c’è stato, non è certo dipeso da lei. Nell’immaginario collettivo, Lucia è sempre rimasta una bambina. Viene raffigurata così anche nelle immaginette che la rappresentano insieme a Francisco e Jacinta. Ma come era diventata, crescendo? Era rimasta una persona semplice – testimoniano coloro che l’hanno conosciuta – con il gusto del dialogo, interessata alla vita. Una persona umile – aggiunge mons. Albino Cleto, vescovo di Coimbra -, che accoglieva sempre con carità le persone che chiedevano di incontrarla, ma fuggiva per quanto possibile i contatti pubblici e di protocollo. Una vera carmelitana. Tra Lucia e Giovanni Paolo II esisteva un legame fortissimo. Quel vescovo vestito di bianco – di cui parlava la Madonna nel terzo segreto – era Giovanni Paolo II. Fu la Madonna di Fatima a deviare il proiettile di Alì Agca che lo colpì proprio il 13 maggio 1981. Per questo volle che la pallottola fosse incastonata nella corona della statua della Vergine a Fatima. Prima di morire Lucia ha avuto il tempo di leggere da sola un suo messaggio in cui le diceva che pregava per lei perché potesse vivere questo momento di dolore, sofferenza ed offerta con lo spirito della Pasqua, del passaggio. La morte di Lucia la immaginiamo così: sicuramente, un passaggio in Cielo vissuto nella gioia di rivedere la Bella Signora e atteso da una vita. IL PAPA AI MEDIA Non abbiate paura! Un invito ad entrare con professionalità e creatività nel mondo dei media, divenuti ormai mezzi indispensabili per la diffusione del messaggio evangelico agli uomini del nostro tempo. Non teme la modernità Giovanni Paolo II, che nella lettera apostolica ai responsabili delle comunicazioni sociali – diffusa nei giorni scorsi in Vaticano – ripete per ben tre volte l’incoraggiamento con cui aprì il suo pontificato e che ora rivolge agli operatori della comunicazione. Non abbiate paura delle nuove tecnologie – scrive il papa -. Non abbiate paura dell’opposizione del mondo. Non abbiate paura nemmeno della vostra debolezza e della vostra inadeguatezza. Il divino Maestro ha detto: Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo. Nella visione del papa, i media non costituiscono solo dei mezzi, rappresentano piuttosto un orizzonte culturale, per molti il principale strumento di guida e di ispirazione per i comportamenti individuali, familiari, sociali. Da qui l’importanza di esserci. Come? Sicuramente in modo professionale, consapevole e responsabile. I media – scrive il papa – costituiscono una risorsa potente, se messi a servizio della comprensione tra i popoli; un’arma distruttiva, se usati per alimentare ingiustizie e conflitti. È di questi giorni anche la presentazione del nuovo e quinto libro di Giovanni Paolo II, Memoria e identità, edito in Italia da Rizzoli. Il testo – che nell’edizione italiana sarà di 140 pagine – è una versione scritta di conversazioni avute degli anni Novanta con due suoi amici filosofi, Krystof Michalski e Jozef Tishner, durante le quali il papa riflette sulla sua esperienza durante il secolo scorso, compreso l’attentato alla sua vita nell’81, la lotta per tutto il XX secolo contro il nazismo e il comunismo e quella a favore della vita umana. Due eventi che, sebbene preparati da tempo, dimostrano comunque che il papa ha ripreso a pieno ritmo la sua attività. Maria Chiara Biagioni CONVEGNO CEI Comunicare e fare cultura Comunicare è mettere in contatto, privilegiare il momento comunitario rispetto a quello individuale, quindi fare squadra e cercare di farlo in modo competente e professionale, senza mai dimenticare che l’oggetto primo della comunicazione delle parrocchie e delle diocesi (e dei cristiani in genere), è la Buona Novella, questa la sintesi del convegno che, nell’ambito del Progetto culturale della Chiesa italiana e in vista del grande convegno ecclesiale di Verona dell’ottobre 2006, la Conferenza episcopale italiana ha organizzato a Roma per portare un migliaio di incaricati diocesani e parrocchiali a capire meglio l’importanza della comunicazione in una società globalizzata e sempre più mediatizzata. Da mons. Betori a mons. Giuliodori e al prof. Vittorio Sozzi, tutti gli interventi istituzionali hanno indicato la via di una centralità operativa della comunicazione nella vita della chiesa locale che cerca il suo posto nella società del terzo millennio: guardare fuori per annunciare il Vangelo. Mentre gli apprezzatissimi interventi più culturali, da mons. Ravasi a mons. Giordani, al giornalista Magister, hanno dato un significato a questo fuori, aprendo gli orizzonti alla società della comunicazione e dello spettacolo con sguardo certo critico, ma senza rifiutare un fenomeno di globalizzazione che il cristianesimo non ha mai rifiutato. Se mons. Ravasi, ha mostrato come i cristiani abbiano le carte in regola per essere presenti nella comunicazione mediatica senza timidezza e senza arroganza, mons. Giordano, segretario generale della Ccee, ha allargato lo sguardo all’Europa, sottolineando come oggi il cristianesimo non sia più conosciuto dalla maggioranza degli europei, e vi sia quindi una quantità di equivoci che andrebbero spazzati via. Come? Di nuovo, con la competenza, ma soprattutto con la testimonianza.

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