La misericordia nell’ebraismo
La misericordia è il cuore dell’uomo, religioso e non, che attraversa trasversalmente tutte le fedi. Del resto papa Francesco lo ha scritto, annunciato e fatto. Una consequenzialità evangelica che parte dalla Bolla di indizione del Giubileo – «la misericordia ci relaziona all’ebraismo e all’Islam» – e arriva fino alla visita alla Sinagoga nel ghetto e alla preannunciata visita alla moschea di Roma. Ma per Francesco non è una novità. Sul tema dell’Anno santo abbiamo messo a confronto due rabbini, Silvina Chemen, ebrea riformata, e Joseph Levi, ortodosso; e due imam. Mohammad Ali Shomali, musulmano sciita, e Kamel Layachi, sunnita. Cominciamo dal rabbino capo di Firenze Joseph Levi.
Che significato ha la parola misericordia nella Bibbia?
«Misericordia in ebraico si dice rahamìn, legato al termine utero, più generalmente viscere. Esprime la qualità della compassione, nella natura della relazione tra padre e figlio, tra madre e figlio. Indica la protezione materna e quella paterna, il rapporto di amore incondizionato tra genitore e figlio, tra Dio e l’umanità. Si tratta di trovare il giusto equilibrio perché la misericordia è un aspetto della giustizia».
Che significato ha il Giubileo ebraico di cui si parla nella Bibbia?
«È ricordato nel Levitico, in due forme, una è l’anno sabbatico che ricorre ogni 7 anni. L’altra forma ricorre, 7 volte 7, cioè 49 anni, il 50esimo anno è dichiarato giubileo. Il significato originario nasce dal nome di un corno di montone, yobel, che ancora si suona nelle sinagoghe all’inizio dell’anno ebraico ed è legato all’idea di misericordia, all’equilibrio sociale: la cancellazione dei debiti, la liberazione degli schiavi, la restituzione del suolo. È la possibilità per una società prevalentemente agricola di tornare ad un equilibrio originario e di ripartire, ogni 50 anni. Ripartire dal punto di vista economico, ma anche nel rapporto con la famiglia, la tribù, il territorio. Chi aveva dovuto vendere il proprio terreno ha il diritto di tornare nelle sue terre originarie, affermando così che la terra appartiene a Dio e non è proprietà dell’uomo che resta un visitatore che transita sul pianeta. Non ha diritto di sciuparlo. Anzi è un alleato di Dio per migliorare il creato e l’esistenza umana».
Vista da un ebreo che significato può avere l’Anno Santo della misericordia proclamato da papa Francesco?
«È una scelta della religione cristiana, non devo dare io un giudizio. In generale penso che i passi di papa Francesco negli ultimi anni, da quando è stato eletto, sono di richiamare la società all’umiltà, alla povertà, alla sensibilità per l’altro, allontanandosi dall’accumulo di ricchezze, per pensare la società nella sua completezza. È un richiamo giusto, nei tempi giusti e consono con la sensibilità biblica della quale abbiamo parlato».
Cosa vuol dire per la religione ebraica vivere la misericordia?
«In unmidrash si racconta che, dopo la distruzione del Tempio, due rabbini si interrogavano su come fare espiazione delle proprie colpe dato che non si poteva più fare il sacrificio che veniva portato al Tempio. Sono misericordia le preghiere al defunto nella sepoltura, l’accompagnamento della sposa povera al suo matrimonio, il dono di una moneta al povero che non ha di cosa vivere. Non è un testo cristiano, ma una fonte ebraica del primo secolo per dire che nella quotidianità si vive, già da allora, la dedizione a Dio attraverso opere sociali».
Dal punto di vista sociale cosa significa la manifestazione della misericordia in una società come quella italiana?
«Il Talmud discute su quanto è lecito offrire della propria ricchezza per la misericordia. Cerca di stabilire che è giusto non offrire più del 20% degli averi che uno ha. Anche perché altrimenti rischia lui di impoverirsi e di diventare un peso per la società. Le aziende che falliscono ricadono sulla società, sulle banche, sul governo che deve sostenere i loro debiti. La misericordia va fatta con responsabilità e saggezza nell’entourage della società in cui si vive. Se ognuno di noi fosse capace di offrire il quinto, il 20% di quello che guadagna per i poveri, i meno agiati, per finalità sociali, avremo una società più equilibrata, giusta e piena di spirito divino».
Nella Bolla di indizione del Giubileo straordinario della misericordia papa Francesco si augura che possa essere vissuto per essere più aperti al dialogo anche con l’ebraismo…
«Lo spero profondamente al di là di alcuni problemi di dialogo teologico, cristologico, tra le nostre fedi nella nostra storia. Abbiamo in comune molti valori che riguardano lo sviluppo della società, come concepire i rapporti umani secondo le indicazioni della Bibbia. Siamo molto vicini e vedo tutte le possibilità e la necessità di sviluppare il dialogo ebraico‒cristiano sui valori base della società. Forse i problemi teologici non possono avere una soluzione perché ognuno è attaccato alla propria tradizione, ma soprattutto possiamo fare il bene della società. Il compito dell’uomo è quello di fare tutto quello che è nelle sue possibilità per aiutare il creatore per “riparare» il mondo e renderlo più bello, più giusto, più equo, più misericordioso».