La minaccia nucleare della Corea del Nord è un ricatto

Dietro la crisi della penisola asiatica si celano rapporti di forza complessi tra Cina, Stati Uniti e Coree. Pyongyang chiede il riconoscimento internazionale ma non ammette cambiamenti su un regime che si vanta di essere l’unico veramente comunista
Militari nel Nord Corea

La crisi tra le due Coree e le minacce di attacco agli Usa con una testata nucleare di produzione nordcoreana stanno generando tensioni non solo nella penisola asiatica ma in tutto l’Occidente. Si tratta di una prova di forza o la posta in gioco è di altra natura? Abbiamo chiesto un’analisi a Pasquale Ferrara, esperto di relazioni internazionali

Come leggere la crisi tra le due Coree e le minacce agli Usa?
«Non si può ridurre quanto sta accadendo nella penisola coreana al difficile rapporto tra Corea del Nord e Corea del Sud perché la situazione è molto più complessa. Riguarda il programma nucleare nordcoreano e soprattutto l’aspirazione della Corea del Nord ad essere riconosciuta come interlocutore internazionale da Stati Uniti e da altri Paesi occidentali. Dal 2002, quando la Corea del Nord ha ammesso di perseguire un programma nucleare militare, si è seguito un percorso tortuoso di negoziati tra i sei Paesi coinvolti (Corea del Nord e del Sud, Russia, Cina, Giappone, Stati Uniti) per venire a capo del problema. Le minacce e le dichiarazioni aggressive verso la Corea del Sud non riguardano solo i rapporti tra questi due Stati ma hanno ben altri risvolti».

C’è un’idea degli armamenti nucleari in possesso di Kim Jong-un?
«La Corea del Nord è uscita dal trattato di non proliferazione nucleare nel 2003, ma aveva già cominciato a tirarsi indietro nel 1993 quando la Aiea (l'Agenzia internazionale dell'energia atomica) aveva chiesto insistentemente di effettuare delle ispezioni. Si ha comunque un’idea reale di questi armamenti perché si sono identificati vari siti dove si producono questo tipo di armi. L’ultimo che in questi giorni si è detto di voler riattivare è quello dove è situato un reattore nucleare al plutonio ed è ben noto. Esistono localizzazioni di altri impianti dove si sa bene cosa fanno e a che stadio sono i lavori sulle armi».

Perché questo inasprimento improvviso e questo out out al sito industriale al confine tra le Coree?
«Di tanto in tanto la leadership nordcoreana lancia queste minacce per chiedere ben altro: cioè veder riconosciuto il proprio regime come ultimo regime comunista duro e puro esistente al mondo da parte degli altri Paesi. Piongyang non vuole che si parli di cambiamento di regime in Corea del Nord, non vuole che si parli di isolamento e chiede di rientrare nei tavoli internazionali senza che nessuno pretenda un cambiamento. Alzare la retorica sulla minaccia nucleare, interrompere i rapporti con la Corea del Sud sono messaggi indirizzati alla leadership americana per ottenere la legittimazione internazionale e nel passato si sono composti tavoli bilaterali direttamente con gli Stati Uniti».

Ma c’è una reale minaccia nucleare?
«Sarebbe dissennato da parte della Corea del Nord voler lanciare degli attacchi su larga scala alle basi americane o alla Corea del Sud. Gli americani sono ben consapevoli di quello che accade e non ci sono segnali di particolare mobilitazione o di appostamenti delle truppe».

Come leggere le dichiarazioni della Corea del Sud?
«La vera novità sta in queste prese di posizione, perché per la prima volta c’è una reazione muscolare con la nuova leader Park Geun-hye, recentemente eletta. Finora c’era stato un atteggiamento di non belligeranza e di non alimentare le crisi regionali, queste dichiarazioni sono una vera novità e destano preoccupazione. Ci sono altri segnali, come la chiusura dell’area industriale di confine, ultimo punto in cui i due Paesi collaboravano almeno come comunità d’affari. Non bisogna né esagerare, né sottovalutare, ma sono fatti da tenere sotto controllo».

La Russia e la Cina, alleati storici della Corea del Nord, come stanno reagendo?
«C’è stato un incontro tra Putin e Pyongyang e si riscontra una certa convergenza, ma è la Cina ad avere molta più influenza e ha deciso di adottare contro la Corea del Nord delle sanzioni decise internazionalmente su forniture tecnologiche con doppio uso sia civile che militare. Al tempo stesso la Cina non vuole che la Corea del Sud continui ad essere una postazione militare forte degli Usa sul Pacifico. Ci sono aspetti geostrategici importanti in questa crisi che misurano anche i rapporti di forza tra Cina e Stati Uniti. La Cina premerà sulle sanzioni ma non troppo e sceglierà la via diplomatica come ha fatto ospitando a Pechino dal 2003 i cosiddetti “negoziati a sei” per far sì che Usa e Corea del Nord si parlassero».

Si sgonfierà tutto o bisogna restare in allerta?
«Ci sono due tentazioni: o farsi prendere dall’istinto e fare dichiarazioni aggressive come sta facendo  la Corea del Sud o invece ignorare quest’atteggiamento provocatorio e andare alla sostanza, mantenendo una linea di comunicazione aperta. È importante che il dialogo continui. La riapertura del sito nucleare avviene dopo un congelamento deciso da un negoziato nel 2007: questo è un segnale indiretto manifestato da Pyongyang che vuole tornare a negoziare e uscire dall’isolamento internazionale anche se non rinuncerà mai al programma nucleare».

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